La foresta amazzonica salverà la Terra?
La foresta amazzonica è in pericolosa trasformazione e sono molti anni che questo avviene. Il polmone del mondo ogni giorno che passa diventa meno capace di tollerare i cambiamenti, ma secondo alcuni scienziati la sua resilienza potrebbe salvare la Terra. E’ di uno Studio apparso sulla Rivista scientifica Nature e realizzato da una equipe di ricercatori guidata da Boris Sakschewski del Potsdam Institute for Climate Impacte Research che stiamo parlando: “Resilience of Amazon forests emerges from plant trait diversity”. (Nature Climate Change) (Sakschewski B. – Von Bloh W. – Boit A. – Poorter L. – Pena-Claros M. – Heinke J. – Joshi J. – Thonicke K.– (2016).
Studio secondo cui, anche se proseguissero i cambiamenti climatici in corso, ma in maniera moderata “un’accorta biodiversità può rigenerare l’80% dell’aria di vaste zone nell’arco di poche centinaia di anni”. “Sostituendo piante oggi dominanti nell’ecosistema amazzonico con altre sarà possibile correggere il livello dei cambiamenti climatici” prosegue a spiegare nello Studio il ricercatore.
La distruzione quotidiana delle risorse naturali da parte della tecnica e del progresso, le monocolture massive e generalizzate, la riduzione della varietà e diversità di specie, l’applicazione e utilizzo di tecnologie distruttive dell’ecosistema e prodotti inquinanti compromettono i cicli di rigenerazione della biosfera. Una foresta con una maggiore varietà di piante che sappiano adattarsi meglio agli stress climatici. Per la prima volta un team di scienziati con simulazioni al computer è riuscito a dimostrare tutto questo. La biodiversità che quindi al di la della salvaguardia della Natura ora diventa “strumento” per rallentare se non arrestare i cambiamenti climatici in atto.
La foresta amazzonica rappresenta il 56% delle foreste della Terra e ospita il 60% degli esseri viventi, contiene il 20% dell’acqua dolce di cui disponiamo, e che, escludendo le specie animali, racchiude più di 3000 specie di piante con proprietà conosciute utili all’uomo. La foresta amazzonica potrebbe essere paragonato a un “forziere ricolmo della, per noi preziosa riserva di vita”. Un forziere che stiamo svuotando a velocità impressionante: il 60% della foresta viene abbattuto per lasciare il posto all’allevamento intensivo, il 30% per consentire l’agricoltura, il resto per procurarci legname.
Con passione, intelligenza, pianificazione sarebbe ancora possibile opporsi all’incoscienza e a volte all’arrogante mancanza di buon senso. Tutto questo potrebbe essere ancora una missione possibile. Faticosa, ma possibile. Non si tratterebbe di opporsi allo sviluppo economico, ma costruire in modo ragionato un modello di crescita biologicamente compatibile, economicamente sostenibile e socialmente utile. Una nuova coesistenza armoniosa e sinergica tra specie vegetali diverse e alcune nuove, dando vita non alla conservazione e preservazione fine a se stessa e “sterile” dell’esistente, ma realizzando un progetto di sviluppo dinamico e sostenibile che puntando sulla “resilienza” consenta di ammortizzare i danni, massimizzando i vantaggi e i benefici per la Terra, per tutti e per ciascuno.
Tuttavia gli esiti del progetto ipotizzato dagli scienziati guidati da Sakschewski dipende dal livello di stress. “Solo in uno scenario di cambiamento climatico moderato, l’elevata biodiversità può, dopo un forte calo della biomassa, contribuire alla ripresa sostanziale in vaste aree in tutta la regione amazzonica, dopo poche centinaia di anni. In questo caso più dell’80% dell’area amazzonica mostrerebbe sostanziale ricrescita dopo poche centinaia di anni” si legge nello Studio. “Al contrario in uno scenario “business-as-usual” di emissioni di gas serra che portano al massiccio cambiamento climatico meno del 20% per cento della superficie avrebbe mostrato questo effetto positivo.
Quella di cui parlano al Potsdam Institute for Climate Impacte Research non è la difesa ostinata e a aprioristica della foresta così com’è, che pure sarebbe giusto, un dovere morale ed etico imprescindibile, un’operazione d’intelligenza inconfutabile e di generosità verso noi stessi oltre che di lungimiranza, ma l’idea “pragmatica di portarla ad un nuovo equilibrio” forse più fattibile nelle condizioni attuali. Sarebbe a nascita di uno nuovo modello di sviluppo produttivo, svincolato, perfino, dallo status quo originario.