Cronache dai Palazzi
Dopo il risultato delle presidenziali americane 2016 la frase chiave è: “I sondaggi sbagliano”. Un pò tutti, a partire dal premier Renzi, sono convinti che i sondaggisti non centrano l’obiettivo del voto e che quindi alla fine finisce per vincere il fronte opposto a quello preferito dai call center. Tutto questo per ribadire, chi da una parte chi dall’altra, chi dal fronte del Sì chi dal fronte del No, che il risultato del prossimo referendum costituzionale non lo si può dare per scontato affidandosi totalmente all’espressione dei sondaggi.
Renzi difende così il proprio Sì e invita tutti i cittadini a votare per il cambiamento; gli oppositori, invece, fanno campagne per il No con la pretesa di intercettare la cosiddetta ‘pancia del Paese’ che, come dicono i sondaggi, per l’appunto, non è poi così scontato che voglia votare per ‘cambiare’ lo stato delle cose.
Tra soli ventitre giorni si apriranno le urne e si voterà il referendum confermativo sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi. Il Tribunale di Milano ha respinto anche l’ultimissimo ricorso del professore Valerio Onida, 80 anni, milanese, docente di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano e presidente della Corte Costituzionale dal settembre 2004 al gennaio 2005.
Per Valerio Onida il quesito referendario presente sulla scheda del 4 dicembre è illegittimo perché obbliga l’elettore a rispondere a 5 domande in una, chiedendo di dire Sì o No al superamento del bicameralismo paritario, alla riduzione del numero dei parlamentari, al contenimento dei costi delle istituzioni, alla soppressione del Cnel e alla revisione del Titolo V per quanto riguarda le autonomie locali e quindi il rapporto tra lo Stato centrale e le Regioni. Onida si riferiva alla legge numero 352 del 1970, laddove tale legge non consente lo “spacchettamento” del quesito in presenza di tematiche non omogenee tra loro. Il Tribunale di Milano ha invece di fatto difeso la legittimità del quesito referendario, ed ecco la ragione per cui la giudice Loreta Dorigo ha ritenuto che il collega Onida avesse torto: “la natura oppositiva del referendum costituzionale” verrebbe “a mancare, e ad essere irrimediabilmente snaturata laddove si ammettesse la parcellizzazione dei quesiti”. L’ordinanza dei giudici di Milano afferma in pratica il contrario di ciò che sosteneva il ricorrente, ossia il referendum costituzionale del 4 dicembre subirebbe una deformazione se i quesiti fossero multipli. Infine per Dorigo “il referendum nazionale non potrà che riguardare la deliberazione parlamentare nella sua interezza”.
Qualora il cittadino elettore fosse “libero di scegliere su ogni singolo quesito, finirebbe in tal caso per intervenire quale organo propulsore dell’innovazione costituzionale contro la lettera della norma (oltre che a favorire l’ingresso di una contrattazione politica di carattere compromissorio, evenienza giustamente paventata dagli stessi ricorrenti)”. In pratica, per il Tribunale di Milano proponendo all’elettore più quesiti su più temi della riforma la consultazione popolare “si trasformerebbe, in sostanza, in un referendum propositivo”.
Chiaramente soddisfatto della decisione dei giudici milanesi, il premier Renzi ha anche inviato una lettera agli italiani all’estero invitandoli ovviamente a votare Sì: “Siamo a un bivio possiamo scegliere tra il non cambiare nulla o riformare il nostro Paese. Dipende da voi”. Per la presidente pd della Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, la decisione del Tribunale di Milano era “prevedibile e inevitabile” e, in definitiva, è stato “fugato ogni dubbio residuo sulla legittimità del quesito referendario”. Per il comitato Bastaunsì si è finalmente “liberi di votare”.
Paradossalmente il fronte del Sì e il fronte del No sono d’accordo sulla questione della legittimità del quesito referendario, accogliendo quindi entrambi positivamente la decisione del Tribunale milanese, tantoché coloro che difendono il No alla riforma non mancano di esprimere la propria ansia di andare al voto. “Meglio che il ricorso di Onida sia stato respinto, così si vota”, ha dichiarato Renato Brunetta. “Sono contento che vengano respinti i ricorsi sulla forma, non vedo l’ora che si voti”, ha invece affermato il leader del Carroccio Matteo Salvini. Per quanto riguarda i ritardi nel fare le leggi, un punto dolente della riforma, si è espresso il presidente del Senato Piero Grasso, per il quale i suddetti “ritardi” “non dipendono affatto dalle procedure del bicameralismo paritario, ma dagli accordi politici”. In questo contesto ha prontamente replicato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, esprimendo il proprio disaccordo: “Con il bicameralismo di accordi bisogna trovarne due”. Grasso ha però ribadito che “se la maggioranza è la stessa basta un solo accordo”.
In definitiva dopo la vittoria di Donald Trump negli United States i frontisti del No – Beppe Grillo e Matteo Salvini i più in vista – sono convinti che l’onda americana arrivi anche in Italia provocando uno tsunami politico sulle nostre spiagge, arrestando quindi la riforma costituzionale nelle urne, il prossimo 4 dicembre. I dirigenti dem, invece, auspicano ovviamente il contrario e sperano in un voto “responsabile” da parte del popolo italiano, che non riduca in frantumi le riforme e il lavoro dell’esecutivo del premier segretario, ancor più dopo l’avvenuta affermazione del fenomeno Trump. Si teme un voto anti-sistema e i renziani si augurano “che non prevalga la pancia”, come ha espresso Alessandra Moretti, mentre Dario Parrini ha sottolineato che “serve un’Italia stabile, al riparo da salti nel buio e avventure”.
Per molti analisti politici è stato il sentimento anti-élite del popolo americano, e in particolare della classe media, a portare Trump alla Casa Bianca, ciò che per il politologo Roberto D’Alimonte rappresenterebbe un deterrente per il premier italiano in carica. “Questo fattore è contro Renzi perché è lui, per molti, a rappresentare l’establishment”, ha dichiarato D’Alimonte, per il quale il voto al referendum rappresenterebbe quindi “una occasione per punirlo o per cacciarlo”.
Non a caso, dai piani alti del Nazareno, la responsabile comunicazione del Pd, Alessandra Rotta, ha affermato: “Dobbiamo convincere che non siamo l’establishment e che il Sì è un baluardo di democrazia”. In definitiva, ora gli oppositori di Renzi sono tutti trumpisti e, più che la vittoria di Trump, ciò che colpisce è l’ascesa di un populismo fuori misura in America come in Europa. L’elezione del presidente miliardario diventa inoltre l’occasione per criticare il sistema di media – di fatto assalito da Donald in campagna elettorale – e i sondaggisti che rappresenterebbero gli emblemi delle élite di potere, tanto distanti dalla gente comune e quindi dall’opinione pubblica votante.