Cronache dai Palazzi
Al via il piano antiterrorismo ma Palazzo Chigi avverte: attenzione alla “radicalizzazione”, non si può fare l’equazione immigrato uguale terrorista.
Il piano prevede uno scanner accurato nelle carceri italiane al fine di individuare eventuali risorse a favore dell’Isis. Il cosiddetto fenomeno dei foreign fighters che in Italia ha comunque “una dimensione numerica minore” che in altri Paesi, ha ricordato il premier in carica al termine di una riunione con il ministro dell’Interno Marco Minniti, della Difesa, Roberta Pinotti e degli Esteri, Angelino Alfano. ”Ciò non significa sottovalutare”, ha sottolineato Paolo Gentiloni. Occorre, al contrario, “prevenire e fare dell’opera di prevenzione lo sforzo massimo del sistema” e, soprattutto, “la minaccia non autorizza a fare equazioni improprie tra migrazione e terrorismo”. Concretamente “la bussola su cui si muove il governo” prevede, da un lato, “politiche migratorie sempre più efficaci, che coniughino attività umanitaria e accoglienza”, dall’altro, “politiche di rigore e di efficacia nei rimpatri”.
“Carceri e web” è il titolo dell’operazione, per cui c’è un grande lavoro da fare sia sul piano istituzionale, e quindi tra i governi per costruire accordi possibili al fine di prevenire l’ondata di flussi migratori non facili da gestire, sia tra governo e aziende per controllare media e rete Internet. Il ministro dell’Interno Marco Minniti ha sottolineato che è necessaria “una cooperazione internazionale tra governi e grandi provider”. All’opera anche una commissione di studio antiradicalizzazione di Palazzo Chigi che ha iniziato i lavori all’inizio di settembre. Si tratta di un organo indipendente formato da 19 membri provenienti dal mondo accademico, della ricerca e della comunicazione che ha lo scopo di esaminare lo scenario jidaista italiano presentando, di conseguenza, al governo un insieme di indicazioni per fronteggiare l’estremismo. I lavori della commissione sono andati avanti per 120 giorni, dopodiché il premier Gentiloni e il ministro Minniti hanno incontrato la commissione per fare il punto della situazione, in un momento non facile con alle spalle gli attentati in Francia, in Belgio, in Germania e in Turchia. Secondo un report della commissione guidata da Lorenzo Vidino “negli ultimi anni si è assistito alla crescita di una embrionale comunità jidaista italiana sul web, ed in particolare su alcuni social network”. In particolare gli esperti segnalano “un crescente numero di donne e di minori che si radicalizzano”, in pratica più di cento. Nel contempo Minniti dichiara: “Contesto l’affermazione dell’Italia come sliding door del terrorismo. Il nostro è un sistema che funziona, ma che può essere migliorato. In 133 sono stati espulsi preventivamente”.
La prevenzione coinvolge diverse realtà della società civile: scuole, servizi sociali, polizia locale e prefetture. Chiamati in causa anche le comunità musulmane e i colossi della tecnologia, anche perché l’intera indagine ruota attorno alla rete Internet. Il primo obiettivo è, in effetti, affossare la consistente propaganda dello Stato Islamico sui social network, mettendo in pratica una metodologia trasparente che oltrepassi la censura e lo spionaggio. “Si tratta di un approccio nuovo per l’Italia, multidisciplinare e indispensabile se si vuole evitare quanto accaduto in Francia o in Belgio, dove troppo a lungo si è puntato solo sulla repressione”, ha spiegato Lorenzo Vidino, coordinatore della commissione di 19 esperti. Per citare un po’ di numeri sono 17 i returnees, ossia i “foreign fighter” partiti dal nostro Paese per andare a combattere in Siria e in Iraq e poi ritornati. Sei si trovano ancora in Italia. Mentre sono 10 le donne “foreign fighter”, circa il 10 per cento delle reclute (110) presenti sul territorio italiano.
Una delle conclusioni fondamentali è che gli attacchi più spietati orditi dall’Isis in Europa sono stati compiuti da killer transitati in Siria e poi rientrati in Europa, per cui una delle questioni più urgenti è legata al loro trattamento giudiziario. Il ministro dell’Interno Minniti ha comunque sottolineato che “laddove queste persone inizino un processo di ravvedimento, è necessario che venga offerta loro un’alternativa al terrorismo”. La prudenza è d’obbligo in quanto non è sempre facile definire il livello di coinvolgimento o stabilire il grado di affiliazione. Le prove non sono automatiche, oppure, molto spesso non è semplice capire quanto vero sia il pentimento.
Sul piano territoriale già lunedì potrebbero essere sbloccati cento milioni di euro da distribuire tra i Comuni pronti ad accogliere i migranti. In pratica 500 euro per ogni straniero, risorse che potranno essere utilizzate dall’amministrazione pubblica anche per altre esigenze come illuminazione pubblica o manutenzione delle strade. In testa Roma e la sua provincia che ha diritto a 4 milioni e 392 mila euro, per cui ha ospitato 8.785 stranieri. Dopo Roma segue Torino con 3 milioni e 773 mila euro per 7.546 persone; Milano con poco più di 3 milioni e 6.135 profughi. Ospitali anche Firenze, Napoli, Salerno e Bari. “Maglia nera” invece per la Valle d’Aosta che negli ultimi dodici mesi ha ospitato appena 302 persone.
Sono 175 mila i profughi presenti sull’intero territorio italiano e la Lombardia è la regione che ne ospita di più, 22.953 mila. Per evitare polemiche verrà comunque convocata la conferenza Stato-Regioni, all’interno della quale si cercherà di individuare i luoghi più idonei per ospitare gli irregolari in attesa di rimpatrio. I nuovi centri di identificazione ed espulsione, i cosiddetti Cie tanto discussi, dovranno ospitare non più di 80, 100 persone e ce ne sarà almeno uno in ogni Regione, fuori dalle città e molto probabilmente vicino alle aree aeroportuali.
In definitiva il piano dell’esecutivo per premiare le amministrazioni comunali che collaborano – attualmente solo 2600 comuni su 8 mila hanno accettato di collaborare – si muove su un doppio binario, come spiegato anche dal ministro dell’Interno: assicurare l’assistenza ai profughi che hanno diritto a rimanere e, nel contempo, espellere gli irregolari nel più breve tempo possibile.
Minniti ci tiene a precisare che i nuovi Cie “non avranno nulla a che fare con quelli del passato” e al loro interno verranno “rispettati i diritti umani”. Per di più – ha assicurato il ministro dell’Interno – i nuovi centri di identificazione e di espulsione fanno parte di un “pacchetto articolato e organico che sarà sottoposto all’esame del Parlamento”. Minniti ha aggiunto che “è la legge a prevedere che le espulsioni e i successivi rimpatri si possano fare soltanto dopo aver identificato gli stranieri e ottenuto il via libera dal loro Paese d’origine”. In pratica i richiedenti asilo entreranno nel sistema Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) in attesa di una destinazione. Gli irregolari dovranno andare nei Cie dove verrà valutata l’espulsione e l’eventuale rimpatrio.
Su un altro fronte, il tavolo per il dialogo sulla legge elettorale al quale per il momento nessuno è intenzionato ad accomodarsi. Il 24 gennaio la Corte Costituzionale si pronuncerà sui ricorsi di presunta incostituzionalità dell’Italicum, e nel frattempo si dibatte sul ritorno al Mattarellum o un sistema proporzionale rivisto. In fondo dopo il referendum del 4 dicembre anche i renziani cominciano ad ammettere un eventuale fallimento della vocazione maggioritaria, anche se l’unica ammissione che mette tutti d’accordo a Largo del Nazareno e che nessun governo di grande coalizione possa essere strutturato prima del voto. Se la Consulta opterà per un sistema proporzionale omogeneo per Camera e Senato si auspica che il Parlamento riesca a formattare la coalizione più idonea per il Paese. Si vocifera un incontro tra il Mattarellum e il sistema tedesco, con una consistente correzione proporzionale, ma occorre comunque aspettare il 24 gennaio per poter intravedere la struttura del nuovo sistema di voto.
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