Libano, una riforma elettorale in salita
All’avvicinarsi delle elezioni politiche previste per Maggio, la classe politica libanese si divide sulla spinosa questione della riforma elettorale, sullo sfondo di un Paese retto da un sistema confessionale.
Ricordiamo che il Libano, che conta 18 comunità religiose, applica un sistema politico basato sulla democrazia consensuale e su una ripartizione confessionale delle funzioni ufficiale e amministrative. Il Presidente della Repubblica e il capo dell’Esercito sono sempre cristiani – più precisamente maroniti – mentre il Primo Ministro è sunnita e il Presidente del Parlamento sciita. Infine, i portafogli ministeriali e i 128 seggi di deputato sono distribuiti equamente tra musulmani e cristiani. Uno schema che sulla carta rappresenta la perfezione in termini di imparzialità, ma che negli anni ha creato non pochi problemi nella gestione del Paese. Ultimo esempio in ordine di tempo, le prossime elezioni libanesi, la prime in otto anni (nel 2014, il Parlamento aveva prolungato i mandati dei deputati fino al Giugno 2017, per via dei disaccordi sulla legge elettorale) e previste a Maggio, che hanno come pomo della discordia lo “scrutinio maggioritario plurinominale”, che è lontano da avere l’unanimità. Da diverse settimane ormai, il dibattito su questa importane questione occupa tutta la scena politica.
E a ragion veduta, eletto alla fine di Ottobre alla Presidenza della Repubblica (grazie alla delicata alleanza con Hezbollah, filo Assad, e con capo cristiano maronita delle Forze Libanesi Samir Geagea e il sunnita Saad Hariri, entrambi ostili a Hezbollah e Assad), carica lasciata vacante per più di due anni, l’ex generale Michel Aoun ha fatto della riforma elettorale una priorità del suo mandato. Prima tappa primordiale, a suo parere, per assicurare una migliore rappresentatività delle comunità, che in qualche circoscrizione potrebbero essere dipendenti dal voto di un altro gruppo confessionale. Il Governo del Primo Ministro Saad Hariri si è ripromesso di mantenere la data prevista per le elezioni e soprattutto di far si che queste seguano un nuovo sistema di voto. Una scommessa che pare impossibile da mantenere. In effetti, in Parlamento, ci sono sul tavolo delle discussioni non meno di 17 proposte di legge, 17 modalità di voto diverse.
Così, i sostenitori del Presidente Aoun, come l’Hezbollah, il potente Movimento politico-militare sciita, spingono nella direzione de proporzionale. “Riteniamo che il sistema proporzionale in un Paese come il Libano, che conosce il pluralismo religioso, sia la miglior legge per assicurare la rappresentatività di tutti, minoranze politiche e religiose comprese”, dichiara a France 24 il deputato Simon Abi Ramia, vicino al Capo di Stato. Ma questo sistema preoccupa le comunità minoritarie, giudicate sovra rappresentate rispetto al loro reale peso demografico. Per esempio, la minoranza drusa, che appartiene al blocco parlamentare musulmano, è convinta che la si voglia sradicare dalla scena politica. “Il sistema proporzionale schiaccerà molte minoranze, e con la specificità comunitaria del nostro Paese, questa legge non può funzionare, e non l’accetteremo per nessun motivo”, spiega il deputato Akram Chehayeb, uomo di fiducia del leader druso Walid Joumblatt. Quest’ultimo preferirebbe una legge che istituisse uno scrutinio ibrido, che legasse in qualche modo proporzionale e maggioritario.
In Libano, Paese del Cedro e del confessionalismo politico, che distribuisce le funzioni ufficiali in base alla religione, i 128 seggi dei deputati sono equamente divisi tra cristiani e musulmani. Le varie comunità religiose sono poi rappresentate in Parlamento in base al loro peso demografico. Il tutto seguendo un censimento del 1932. Così, i maroniti, principale comunità cristiana, dispone di 34 eletti mentre, lato musulmano, gli sciiti così come i sunniti contano su 27 seggi. E in un regime parlamentare monocamerale, nel quale la Camera dei deputati dispone anche del potere costituzionale di eleggere il Capo di Stato, la legge elettorale che regola le elezioni politiche diventa fondamentale per la divisione del potere. Non è difficile capire le attuali divisioni intere. Per Hariri uscire dal vespaio non sarà semplice nonostante solo poche settimane fa, appena nominato e dopo 5 anni di assenza dalla scena politica, abbia dimostrato grande apertura dotando il Libano di un Governo che riunisce tutto il ventaglio politico, eccezion fatta per il Partito falangista, che ha rifiutato il portafoglio che gli era stato proposto. Un “Governo di intesa”, come lo definisce il primo Ministro, che conta anche due ministri appartenenti a Hezbollah, partito sciita che ha tra i suoi membri i colpevoli (giudicati dal Tribunale Speciale per il Libano, TSL), coloro che hanno pianificato nel 2005 l’assassinio di suo padre Rafic Hariri.
©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione