Ambiente, le città fanno meglio dei governi

Mentre Trump rivede le normative ambientali di Obama e rilancia carbone e gas, venticinque città degli Stati Uniti si impegnano a rifornirsi al cento per cento di energia rinnovabile. La contrapposizione di città ‘ambientaliste’ contro governo centrale ‘fossile’ non è nuova nella storia recente degli Usa: basti pensare alla ormai storica distanza fra le politiche anti-inquinamento della California e quelle degli altri Stati – un fenomeno costante, indipendente dal colore delle amministrazioni californiane. Con la California si sono mossi gli aderenti al Sierra Club, la principale Ong ambientalista degli Stati Uniti, che ora con la Campagna 100 mira a raggiungere il numero di cento città americane capaci di alimentarsi solo con energia rinnovabile. Ma se con Obama ‘ambientalista’ le città virtuose rivestivano un ruolo di pionieri delle politiche nazionali per il Clima, con Trump antiambientalista, le città ‘green’ sono diventate un baluardo ideale e tecnologico: il simbolo di un Paese all’avanguardia, che riesce a coniugare Economia e Ambiente.

Portato alla ribalta mediatica dalle iniziative antiambientaliste del presidente Trump, il dissidio tecno-ideologico tra città e governo centrale sembra legato al colore politico delle amministrazioni. Collegare ambientalismo e progressismo in questo caso di Obama da una parte, e antiambientalismo e appartenenza conservatrice, in questo caso quella repubblicana di Trump dall’altra, è, infatti, quasi automatico: e invece, negli Usa come da noi, risulta ancora una volta il più illusorio dei pregiudizi. Mai l’amministrazione californiana è stata ambientalista come col Governatore Schwarzenegger, Repubblicano, che ha avviato politiche per il clima che ora il successore Jerry Brown, democratico, sottoscrive e difende nel confronto con l’amministrazione di Trump. E pur restringendo il campo ai combustibili fossili, Obama ha autorizzato trivelle qua e là, in particolare in Alaska: come in Italia ha fatto la serie di governi ‘di sinistra’ fra cui quello di Renzi, che oltre a questo ha ‘riformato’ la governance dei Parchi e ‘accorpato’ la Forestale; tutte cose enormi nonostante i palliativi terminologici, enormità mai compiute dai governi di centrodestra.

A ben vedere però, oltre a non essere una questione di colore politico, il confronto città-governo non è neanche un fatto americano. Una rapida occhiata ai media internazionali ci fa scoprire che, ad esempio, Sydney è in lotta col governo australiano per ‘staccarsi’ dalla carbonifera rete energetica nazionale e alimentarsi con la sua sola energia solare, Oslo con quello norvegese per nuove regole anti-smog sulla rete stradale cittadina. Di più: ri-scopriamo che nel 2014 ben duemilacinquecento città del mondo hanno presentato alle Nazioni Unite piani e progetti per ridurre in modo decisivo le emissioni inquinanti – un esempio concreto per gli oltre duecento Stati che nel 2015 hanno firmato l’Accordo di Parigi sul Clima. Di fatto, le politiche anti-inquinamento delle città e delle amministrazioni locali sono mediamente più aggiornate di quelle dei governi centrali.

Ma il confronto non è banale: in Norvegia come in Australia, ovunque si pone il problema di un conflitto molto serio tra le iniziative legislative delle amministrazioni locali e quelle degli Stati nazionali, che non seguono ma rallentano la decarbonizzazione e che in materia di energia finiscono per mostrarsi difensori dello storico status quo delle multinazionali. Dal punto di vista tecnico-politico, la ragione è evidente: nel Bel Paese come ovunque nel mondo, la Capitale è lontana dal territorio, il Ministro dal Municipio, dalla Contea o dall’Arrondissment. E se l’uomo di Stato può muoversi negli spazi metafisici della finanza mondiale, il sindaco, l’amministratore locale, deve rendere conto ai cittadini: che, dove non sono pigri ma attenti e partecipativi alla vita democratica, chiedono ogni giorno ciò che è bene per le persone, per la salute, per la vita di tutti i giorni. Nello specifico: meno inquinamento e aria pulita.

Il conflitto città-stato in materia di politiche ambientali dunque non è un fatto solo statunitense, e meno che mai è un fenomeno dovuto all’irrompere sulla scena dell’amministrazione Trump. Il conflitto in questione al contrario è un fenomeno mondiale, che sta condizionando positivamente le politiche mondiali per il clima e sta appoggiando in maniera significativa il coraggio degli Stati impegnati nella lotta al cambiamento climatico. Ed è un fenomeno portatore di un messaggio di grande importanza e significato: il futuro, se può essere immaginato, può essere costruito ‘dal basso’, e cioè non nei gratta-celi metafisici, ma dentro le comunità locali. Non è un’utopia, è una possibilità. E’ciò che sta accadendo.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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