Yemen, nessun segnale di tregua in un Paese sfinito
Il conflitto in Yemen si trascina in un contesto caratterizzato dalla rivalità tra Riyad e Teheran. Centinaia di migliaia di yemeniti, sostenitori dei ribelli Houthi e dell’ex Presidente Saleh, hanno manifestato pochi giorni fa a Sanaa contro la coalizione capeggiata dall’Arabia Saudita. Il Paese è devastato da una guerra che sembra fare poco notizia.
Nella notte tra il 25 e 26 Marzo 2015, gli aerei sauditi cominciavano a lanciare le loro bombe sui ribelli Houthi. Vicini agli iraniani, questi zaiditi sciiti (una delle tre grandi correnti sciite) si sono impadroniti nel Settembre del 2014 della capitale, Sanaa, così come di grandi porzioni di territori del Nord, del Centro e dell’Ovest. Nawal Al-Maghafi, della BBC, è una delle ultime giornaliste straniere ad essersi recata in Yemen. Paese complicato, regione dall’accesso difficile, blocco delle informazioni da parte dell’Arabia Saudita sono, per la giornalista, i motivi per i quali questa guerra sembra essere trascurata dagli occidentali. In effetti, sul campo la situazione è abbastanza complicata. I ribelli sciiti del Nord si sono alleati all’ex Presidente Ali Abdallah Saleh, raggiunto da alcune unità dell’esercito rimaste a lui fedeli. L’ex autocrate ha dovuto abdicare nel 2012, sulla scia della “Primavera Araba”, dopo più di 30 anni di potere.
Il nuovo Presidente, Abd Rabbo Mansour Hadi, vicino a Riyad, è sostenuto dalle monarchie del Golfo (tranne l’Oman), l’Egitto, la Giordania, il Marocco e il Sudan. Approfittando dell’indebolimento del potere, gruppi jihadisti come Al Qaeda nella Penisola Araba (Aqmi) hanno rafforzato la loro influenza nel Sud e Sud-Est del Paese. Le cancellerie occidentali sembrano provare un certo disagio nei confronti della coalizione diretta da Riyad, alla quale però forniscono, anche se sporadicamente, armi. I suoi bombardamenti uccidono soprattutto civili e distruggono le infrastrutture. Lo scorso 16 Marzo, 42 rifugiati somali sono stati uccisi a bordo di un’imbarcazione colpita al largo delle coste yemenite, un atto che “può essere considerato crimine di guerra”, afferma l’organizzazione Human Rights Watch.
La guerra in Yemen, “danno collaterale” della rivalità tra Riyad e Teheran che sta devastando un intero Paese. Secondo i dati delle Nazioni Unite, dall’inizio del conflitto ci sono stati più di 7.000 morti e 42.000 feriti. Le cifre dell’Unicef sono ancora più tragiche: i bambini morti sarebbero almeno 1.400. Inoltre 3 milioni di persone hanno bisogno di aiuti alimentari, tra questi, 1,5 milioni sono bambini e soffrono tutti di malnutrizione. Merixtell Relano, Rappresentante dell’Unicef in Yemen, ha chiesto ai belligeranti non solo di agevolare la distribuzione degli aiuti umanitari, ma di mettere fine al reclutamento di bambini soldato. Escalation della violenza tra forze lealiste e ribelli, crescita dello jihdismo, bombardamenti americani contro Al Qaeda, minaccia di carestia, lo Yemen è più che mai in uno stato di grande fragilità a due anni dall’intervento militare della coalizione guidata dall’Arabia Saudita.
Per Peter Salisbury, ricercatore dell’Istituto Chatham House di Londra, lo Yemen è diventato un grande pantano. Il Paese della penisola arabica, il più povero della regione, si è fratturato a tal punto che diventa difficile immaginare il suo futuro come “Stato unico autosufficiente”, puntualizza Salisbury. Da due anni gli aerei da combattimento della coalizione operano in sostegno di migliaia di soldati impegnati sul terreno con carri,cannoni e artiglieria pesante contro i ribelli sciiti Houti e i loro alleati. Ma, come abbiamo visto, questi ultimi controllano ancora parti importanti del territorio, tra cui la capitale. Sostengono essere pronti a resistere fino alla fine come lo dimostra la gigantesca manifestazione organizzata a Sanaa il 25 Marzo scorso, per ricordare il tragico anniversario marcato dallo slogan “Resistenza all’aggressione”.
Finora non si è percepito nessun segnale di pacificazione dopo il fallimento di sette sospensioni delle ostilità guidate dalle Nazioni Unite e dall’ex Segretario di Stato americano John Kerry. Per il mediatore delle Nazioni Unite, ancora oggi i belligeranti si rifiutano di negoziare. Come non credergli? Due anni e mezzo dopo essere stato cacciato dalla capitale Sanaa, il Presidente Abd Rabbo Mansour Hadi è l’unica autorità “legittima” del Paese nonostante risieda la maggior parte del tempo a Riyad. La posta in gioco è altrettanto alta per l’Arabia Saudita, capofila dell’Islam sunnita che, intervenendo in Yemen, cerca di contrarre l’influenza dell’Iran, suo rivale regionale accusato di appoggiare gli Houti.
Una delle incognite rimane essere il comportamento della nuova Amministrazione americana di Donald Trump, che sembra essere più accondiscendente nei confronti dell’Arabia Saudita rispetto a quella di Barack Obama. Per ora, Washington fornisce armi alla coalizione e l’assiste con approvvigionamenti aerei e intelligence. Potrebbe decidere di implementare questo sostegno con il fine di mandare un messaggio di fermezza all’Iran, anche se, per Joost Hiltermann e April Alley dell’International Crisis Group, “se Trump si impegnasse precipitosamente nella guerra yemenita, ci sarebbe il forte rischio che il conflitto vada fuori controllo”. Ciò che avviene in Siria dovrebbe rappresentare più che un monito.
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