Cronache dai Palazzi
Si discute sul “telaio” della nuova legge elettorale. Martedì prossimo si voterà per l’adozione di un testo base presentato da Andrea Mazziotti, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera. Venerdì 19 è il termine ultimo per gli emendamenti mentre la settimana successiva inizieranno le votazioni, per approdare definitivamente in Aula a Montecitorio il 29 maggio. Il testo base presenta un sistema proporzionale che estende a Palazzo Madama l’Italicum in vigore alla Camera.
Negli ultimi giorni i dem hanno tentato la strada dell’accordo con i forzisti proponendo il cosiddetto “verdinellum” (dal deputato Massimo Parisi vicino a Denis Verdini): 309 deputati eletti con un sistema proporzionale (sbarramento al 5%) e altrettanti con i collegi uninominali senza scorporo. In pratica un sistema misto che, in virtù della governabilità, tenga insieme 309 seggi proporzionali e 309 seggi maggioritari, più 12 della circoscrizione estera. Gli azzurri hanno però rifiutato la proposta dei democratici dicendo a chiare lettere “no al maggioritario perché l’unica legge accettabile è quella che traduce, senza distorsioni, i voti reali in seggi”. Il categorico no è stato ribadito anche da Silvio Berlusconi: “Non ci sono le condizioni per ripetere un patto del Nazareno con il Pd”.
Il cosiddetto “verdinellum” – nella pratica un sistema tedesco made in Italy – non sarebbe gradito agli azzurri in quanto penalizzerebbe il partito di Berlusconi sia al Nord (dove predomina la Lega), sia al centro (dove vince il Pd) sia al Sud (dove sembrano affermarsi i Cinquestelle). “Con questo Mattarellum truccato pagheremmo un prezzo davvero alto in termini rappresentanza parlamentare”, ha dichiarato Renato Brunetta. In sostanza FI approva l’Italicum corretto dalla Corte da estendere al Senato; una prospettiva condivisibile anche dai grillini in quanto rispecchierebbe il “Legalicum”: proporzionale con sbarramento al 3%, premio di maggioranza alla lista che supera il 40%, 100 capilista bloccati alla Camera e 50 al Senato, doppia preferenza di genere. Il partito di Berlusconi non intende inoltre mollare la richiesta di trasferimento del premio dalla lista alla coalizione.
Da sinistra, invece, Pier Luigi Bersani di Mdp dice chiaramente ‘no’ ai capilista bloccati, “così da poter scrivere un mese dalle elezioni i nomi del 70% dei parlamentari”. Il sistema proporzionale in vigore per la Camera, il cosiddetto Italicum bis (testo base in commissione a Montecitorio), sembra far aumentare i candidati bloccati che passano da 100 a 150. L’Italicum bis è condiviso dai pentastellati ma non è gradito ai forzisti e ai piccoli partiti. Per di più tale sistema non abbraccia nemmeno l’idea di maggioritario prediletta dal Pd renziano. In definitiva l’esito della votazione di martedì prossimo non è poi così scontato.
In sostanza il Legalicum proposto dai grillini, e condiviso anche da Berlusconi, applica al Senato le regole approvate dalla Consulta per l’elezione dei deputati. Qualora nessun partito raggiunga il 40% il sistema è proporzionale: ad esempio il 20% dei voti validi si convertirebbe nel 20% dei seggi e questo particolare è gradito ovviamente ai partiti più piccoli, da Alleanza popolare a Sinistra italiana, oltreché Articolo 1-Mdp.
Ricapitolando la legge elettorale oggi in vigore per la Camera dei deputati è l’Italicum corretto dalla Corte costituzionale, che ha bocciato il doppio turno. In pratica il “Consultellum” senza ballottaggio e con premio di maggioranza alla lista che supera il 40%. Lo sbarramento è al 3% e non si prevedono coalizioni.
A Palazzo Madama, invece, è in vigore il Porcellum corretto, ossia il Consultellum vero e proprio: struttura proporzionale – sono previste le coalizioni – lo sbarramento è all’8% per le liste che corrono da sole, al 20% per le coalizioni, al 3% per le liste in coalizione. Lo scorso 26 aprile il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espressamente chiesto ai presidenti di Camera e Senato di intervenire affinché l’intero Parlamento accelerasse per portare a termine al più presto la riforma del sistema di voto, uniformando nel contempo i sistemi delle due Camere.
Su un altro fronte il governo ha finalmente messo nero su bianco 52 mila nuove assunzioni di professori da settembre. Dopo mesi di trattative è stato raggiunto un compromesso. Il ministero dell’Istruzione e il ministero dell’Economia hanno finalizzato un accordo per trasformare 15.100 cattedre dell’organico di fatto, assegnate periodicamente ogni anno a supplenti, in posti effettivi dell’organico di diritto, e quindi contrattualizzati a tempo indeterminato. La norma era già parte della legge di Bilancio che riportava l’indicazione dei fondi a disposizione per concretizzare l’operazione: 140 milioni nel 2017 e 400 milioni nel 2018, ma non vi era alcuna precisazione a proposito del numero di posti che potevano diventare stabili. Il suddetto accordo ha in effetti chiarito sia il numero di posti stabili sia le coperture necessarie.
“Trasformare ciò che oggi è organico di fatto in organico di diritto significa scegliere di continuare a investire sulla qualità della formazione delle e dei docenti, mettendo al centro gli interessi di studentesse e studenti, famiglie, insegnanti”, ha dichiarato la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. In definitiva i posti “trasformati” saranno 15 mila e 21 mila saranno invece di nuovo liberi in seguito ai pensionamenti; 16 mila, infine, sono i posti già vacanti e quindi disponibili. In tutto, si contano quindi 52 mila posti di lavoro in più a tempo indeterminato. I nuovi docenti verranno selezioni per il 50% in base alle graduatorie e l’altra metà dai vincitori dell’ultimo concorso.
Sul versante europeo è ormai tempo di conteggi. Le Previsioni economiche di primavera della Commissione europea, pur sottolineando un evidente disagio (economico) soprattutto per Italia e Francia, evidenziano una crescita economica in risalita al di là di decimali in più o in meno: “Circa l’1% nel 2017 e 2018” (0,9% quest’anno, 1,1% nel 2018). Una soglia che è comunque la più bassa dell’Eurozona (1,7% del Pil in media) e dell’Ue a 28 (1,9%). Nella pratica, comunque, gli obiettivi raggiunti, previsti e prevedibili, non appaiono molto distanti dalla linea politica di compromesso già attuata a livello decisionale dall’Eurogruppo/Ecofin. Linea attuata in Spagna e Portogallo che il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis e il commissario Ue per gli Affari economici Pierre Moscovici hanno ribadito anche per l’Italia. Si prevede una flessibilità di fatto nell’applicazione delle regole di bilancio in quei Paesi caratterizzati ancora da evidenti difficoltà e, nel contempo, l’Eurogruppo mette in chiaro i propri richiami per chiedere il rispetto delle regole in una prospettiva futura.
“L’austerità è una parola che non si sente più da tempo”, ha dichiarato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan alla vigilia del G7 dei ministri finanziari a Bari. “Il problema è quello di conciliare la crescita con la sostenibilità della finanza pubblica, e quindi politica di bilancio ma anche riforme strutturali”, ha spiegato il ministro. In sostanza “il sistema Europa” mira a rinnovarsi affinché “il benessere riprenda a distribuirsi diffusamente tra i cittadini europei”. Bruxelles avrebbe quindi approvato la manovrina dello 0,2% del Pil, elaborata da Padoan su richiesta della Commissione, chiedendo però in cambio un miglioramento nel futuro prossimo. Il via libera dovrebbe arrivare in questo mese insieme però ai richiami sugli squilibri macroeconomici e a un rapporto tecnico sul maxi debito stimato in salita al 133,1% del Pil nel 2017 e stabilizzato, ma ancora piuttosto esoso, nel 2018 (132,5%). Il deficit rimane sul 2,2% e 2,3% nel biennio.
La difficile situazione economica dell’Italia non sfugge a Bruxelles che si aspetta un maggiore impegno in autunno nel rispetto dei vincoli europei per il 2018. Un obiettivo di certo non facile per un Paese sul quale grava un forte indebitamento (benché in fase di stabilizzazione) al quale si aggiungono bassa crescita, alto tasso di disoccupazione, un credito bancario deteriorato, ed infine ritardi in materia di competitività e di riforme. A Roma, nel frattempo, il Parlamento ha votato a larga maggioranza la richiesta al governo di opporsi all’inserimento nei Trattati Ue del Fiscal compact e gli annessi rigidi vincoli di riduzione del debito.
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