Crisi idrica, la rete è un colabrodo

La crisi idrica delle città italiane, a cominciare da quella della Capitale, non è provocata, ma solo svelata, dalla siccità. Dal torbido delle amministrazioni sta emergendo che la rete idrica è un colabrodo, che la manutenzione di tubi e condotte è insufficiente, e che solo una quantità d’acqua raccolta da sorgenti e laghi che è quasi il doppio di quella distribuita ha consentito di coprire il fabbisogno idrico nazionale. La dispersione media nazionale è infatti del 40 per cento.

“In Italia ogni giorno c’è una dispersione d’acqua di quasi 9 miliardi di litri al giorno a causa delle perdite registrate lungo la rete di 474 mila chilometri di acquedotti”, spiega Angelo Bonelli, coordinatore nazionale dei Verdi. “Ma chi dovrebbe realizzare le infrastrutture necessarie – prosegue Bonelli – per far fronte al problema: lo Stato o le aziende che gestiscono l’acqua? Visto che queste sono di fatto in gran parte in mano ai privati, non sarebbe il caso che il Governo imponga a queste che le realizzino con i lucrosissimi ricavi della gestione?”. Della stessa idea Enrico Rossi, governatore della Toscana: “Dobbiamo fare in modo che l’1% del patrimonio delle società di gestione dell’acqua venga reinvestito nella sostituzione dei tubi”. Per Bonelli è necessario tornare allo spirito del referendum vinto da milioni di italiani: l’acqua e la sua gestione tornino pubbliche e lo Stato reinvesta tutti gli utili per la manutenzione della rete idrica”. Tornare allo spirito del referendum, appunto: perché il quesito fu, al solito, capzioso, e a cinque anni di distanza si dibatte ancora su cosa abbia realmente determinato il SI dato come risposta dal 95 per cento dei votanti.

Mentre la realtà del Paese è di nuovo preda della virtualità dell’ennesimo dibattito su norme e cavilli, gli investimenti degli attuali gestori per la manutenzione della rete idrica sono tra i più bassi d’Europa, spiega ancora il coordinatore dei Verdi: 32 euro l’anno per abitante, mentre la Francia che ne investe 88, il Regno unito 102 e la Danimarca 129. A ‘coprire’ la realtà dei numeri, la volatilità delle parole, soprattutto quelle del dibattito politico. C’è chi pensa di ridurre la dispersione chiudendo le fontanelle, chi pensa di farlo riducendo l’irrigazione dei campi; il che ci porterebbe ad importare ortaggi. E mais: come se alle nostre mucche da latte potessimo dare solo farina di pesce. Chiaro anche che si può ridurre lo spreco chiudendo il rubinetto tra una passata e l’altra di rasoio da barba: ma se chi fa tutto questo poi non pretende che gli sprechi veri, quelli delle reti, vengano annientati, quell’onesto rischia di fare l’utile idiota come gli entusiasti acquirenti di auto elettriche rispetto ai conducenti di furgoni, camion, pullmann e bus fuori norma e fuori controllo. La crisi idrica di questa estate difficile rivela, ancora una volta, una realtà: che c’è una parte del Paese – fatta di persone oneste e scrupolose, ma anche di un ambiente naturale generoso di risorse – che compensa ogni giorno le mancanze degli approfittatori e le inefficienze di gestione e di amministrazione. Bisogna chiedersi se accettarlo, oppure no.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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