Trump, pronto a distruggere la Corea del Nord

Meno male che, durante la corsa alla Casa Bianca, aveva spiattellato ai quattro venti – in caso di mandato presidenziale – di volersi occupare prevalentemente di protezionismo e rilancio dell’economia interna. E’ certamente diverso, da quello che in campagna elettorale voleva ritirare soldati e armamenti dalla penisola coreana, il Trump che si è esibito alla 72° Assemblea Generale dell’Onu, chiamata a discutere soprattutto della delicata situazione internazionale creata dalle intemperanze nucleari di Kim Jong-un e del regime da questi incarnato.

Non sono tempi lieti per il genere umano, e visti i rappresentanti in circolazione, si delineano momento e palcoscenico perfetti per dichiarazioni del tenore di quelle pronunciate dal numero uno americano.

“L’uomo dei razzi” come da qualche tempo è definito il dittatore di Pyongyang “si è imbarcato in una missione suicida. Se provocati, gli Stati Uniti sono pronti a distruggere la Corea del Nord”. Queste, in sintesi, le parole da sceriffo di Trump, che alcuni giornali hanno riportato come determinate e ferme, altri come espressione di bullismo. Lungi da noi un giudizio: in fondo, il temperamento del presidente è noto tanto quanto la folle pericolosità di Kim Jong-un. Poco incline alla diplomazia e molto più stimolato al braccio di ferro, Trump, che nei suoi comunicati sovente usa l’avverbio frankly, onde ribadire schiettezza e trasparenza dei concetti esposti, ha debuttato per la prima volta a Palazzo di Vetro con toni raramente usati dai suoi predecessori, innescando prevedibili e contrastanti reazioni tra i rappresentanti degli altri Paesi membri; fra questi, segnaliamo un Macron, che si smarca dal “sovranismo” trumpiano esibendo una visione multilaterale delle forze mondiali in gioco e un’anima più propensa al progressismo, alla tutela dell’ambiente e allo sforzo umanitario.

Intanto, però, dato che sul tavolo della discussione – oltre alla crisi nordcoreana, il terrorismo e la Libia – c’è anche il tema sui cambiamenti climatici, il presidente francese deve incassare la scarsa volontà del suo omologo statunitense a restare nell’accordo precedentemente sottoscritto da Barack Obama, ritenuto dannoso per l’economia americana.

Oltre a criticare i regimi socialisti di Venezuela e Cuba, il presidente Usa ha accomunato alle brame nucleari di Pyongyang, minacciose per gli stessi alleati sudcoreani e giapponesi, anche le losche attività dell’Iran, “uno Stato canaglia che sostiene il terrorismo internazionale”, a cui l’amministrazione Obama avrebbe colpevolmente concesso troppo in tema di sviluppo nucleare, siglando un accordo – tuttora in essere – da cui Washington dovrebbe assolutamente recedere.

La dichiarata natura difensiva dei programmi nucleari nordcoreani non convince sicuramente nessuno in Occidente. Di difensivo, ha certamente l’intento di proteggere la dinastia dei Kim, sempre sotto pressione per la presenza militare a stelle e strisce in territorio sudcoreano, a sostegno dell’alleata Seul. Senza dubbio, Kim Jong-un considera la bomba atomica un’assicurazione sulla vita, che possa scongiurargli una fine simile a quella dei Saddam e Gheddafi di turno. Trump e i suoi stretti collaboratori, dalla loro prospettiva, invece, temono che Pyongyang – una volta acquisita la capacità di colpire città Usa con missili a testata atomica, possa ricattare la Casa Bianca e chiedere il ritiro dei soldati americani di stanza in Corea del Sud e Giappone. Di qui, il cambio di rotta di Trump sulle sue iniziali dichiarazioni in materia, rilasciate durante le presidenziali.

Proseguendo nel ragionamento, sebbene sia ipotesi al momento improbabile ma non impossibile, Kim potrebbe mettere in atto il progetto di riunificazione della Corea sotto l’egida di Pyongyang, ambìto dalla sua famiglia da decenni a questa parte, attaccando Seul e tenendo sempre sotto scacco lo Zio Sam con la minaccia nucleare. In realtà, la Corea del Nord non avrebbe comunque la capacità economica, industriale e finanziaria, salvo il supporto di occulti sponsor di peso, di mantenere un presidio territoriale permanente e, allora, l’obiettivo più plausibile di Kim potrebbe essere quello di vedersi riconoscere il ruolo di legittimo interlocutore, al pari di altri capi di Stato, in particolare per questioni relative all’Estremo Oriente, togliendo il Paese dall’isolamento internazionale e dalla morsa delle sanzioni, in cambio di un congelamento del suo programma di sviluppo nucleare. Cosa che Donald Trump, nonostante si sia finora limitato ad ammonire senza passare alle vie di fatto, non permetterà che avvenga, in nome del declamato principio: America first.

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