Minacce e sberleffi

La crisi della Corea del Nord è certamente la più grave che Donald Trump debba affrontare dopo il suo arrivo alla Casa Bianca. Da un lato c’è un dittatore chiaramente folle, deciso a dotarsi di un potere mondiale che gli dia la possibilità di negoziare con le grandi potenze da una posizione di ricatto e quindi di presunta forza (dico presunta perché nessuna delle vere potenze nucleari si lascerebbe ricattare da un Paese di terz’ordine).

E dall’altra parte? È seccante ammetterlo: d’altra parte c’è un personaggio che non dà certo prova di equilibrio. Alle minacce di Kim ha risposto con altre minacce e sberleffi, via Twitter e dal podio della Nazioni Unite (a proposito dell’ONU, ci sarebbe molto da dire, e da temere, circa la visione trumpiana del multilateralismo). Finora, solo bravate dalle due parti. Ma quelle nordcoreane sono pericolosamente assortite da una dimostrata concreta capacità di colpire. Questa capacità è fuori di dubbio che gli Stati Uniti la posseggano cento volte maggiore. Ma l’impressione generale che sta dando Trump è penosa: da una parte scarta completamente il ruolo della diplomazia, dall’altra strepita e minaccia distruzioni apocalittiche, ma le sue parole non hanno il suono della verità.

Come se ne uscirà? C’è solo da sperare che la saggia Cina, che in buona parte ha contribuito a creare il mostro nord-coreano, agisca veramente e seriamente. L’unica maniera è strangolarlo economicamente, o provocare una rivolta interna da parte dell’establishment militare. Non riesco a credere che i cinesi siano incapaci di produrre l’una o l’altra misura, o tutte e due. Da Trump, temo, c’è da aspettare solo retorica o, più in là, qualche azione davvero squilibrata.

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