Amnesty International, accuse a Minniti sulla questione migranti
Riaffiorano, a singhiozzo, le polemiche sugli accordi stretti dal ministro dell’Interno Marco Minniti con la Guardia Costiera libica, in relazione alle contromisure per contenere l’ondata migratoria lungo la rotta mediterranea alla volta dell’Italia.
Minniti, già nel mirino dopo la diatriba sorta con le Ong a seguito della rigorosa regolamentazione sulle procedure di salvataggio in mare, obbligatoriamente condizionate a nulla osta e supervisione da parte delle autorità italiane, subisce ora l’attacco di Amnesty International.
L’organizzazione, nel suo ultimo dossier in materia, rileva le nefaste conseguenze derivate dall’interruzione perentoria dei flussi risalente alla scorsa estate e mette sul tavolo un altro dramma nel dramma, riportando una situazione di conclamata violazione dei diritti umani. Non è un mistero che un Paese diviso come questo lembo di Nord Africa, politicamente instabile e infuocato da violente lotte intestine per il potere, sia sceso a patti con milizie locali animate più dal profitto senza scrupoli, che dal ripristino dell’ordine pubblico. La riduzione dei flussi, dietro lauto compenso del nostro governo all’esecutivo di Tripoli, internazionalmente riconosciuto come unico interlocutore legittimo nel frammentario scenario libico, doveva seguire un percorso istituzionale trasparente, a garanzia dell’incolumità dei soggetti trattenuti.
Invece, tra controllori sul territorio e pattugliatori marittimi autoctoni, figurano soprattutto esponenti di ex bande e gruppi armati convertiti – una volta schieratisi opportunisticamente a sostegno di Al Sarraj – in estemporanee forze dell’ordine, senza dimenticare il proprio passato criminale. Gente, dunque, che non va troppo per il sottile e che applica, nella nuova veste, gli stessi schemi malavitosi impiegati nelle proprie precedenti attività.
A Minniti, come contraltare al raggiunto scopo di far tirare il fiato ai nostri centri d’accoglienza e a quella parte di cittadinanza – in prima linea sul fronte degli sbarchi – ormai esausta, si contesta di aver chiuso gli occhi ed essersi turato il naso. Le bordate cominciano ad arrivare da più parti, mosse da vivo sentimento umanitario e forse – ad esser maligni – da deficit d’introiti sul business del terzo millennio. Il premier Gentiloni ha il suo bel daffare per difendere in Parlamento e davanti all’opinione pubblica mondiale le scelte del ministro. Per inciso, anche prima del blocco degli arrivi sulle nostre coste, lo Stato italiano – inascoltato – ha rappresentato in più di un’occasione, sia al Palazzo di Vetro dell’Onu che a Bruxelles, non di rado critici sul nostro operato, i maltrattamenti e i crimini subiti dai migranti su suolo libico per mano dei trafficanti. Oggi, che il rubinetto è chiuso, il mondo si accorge del problema.
E, infatti, con particolare “afflato” per lo Stivale, Amnesty International accusa i governi Ue – in sodalizio con autorità libiche, Guardia Costiera locale e trafficanti – di collusione con un sistema che prevede l’arbitraria detenzione a tempo indeterminato dei rifugiati per sigillare il corridoio mediterraneo, attuale principale porta d’ingresso dall’Africa subsahariana in Europa. Il nostro Paese fornirebbe denaro, assistenza, formazione ed equipaggiamento a chi si occupa di arrestare il fenomeno migratorio, consapevole degli abusi, estorsioni, violenze e stupri reiteratamente inflitti alle vittime. Grande scalpore ha suscitato l’accertamento documentato, nei centri di detenzione libici, di aste per la vendita di esseri umani ridotti in condizione di schiavitù.
Minniti replica che non bisogna rinunciare a governare i flussi verso l’Europa, pur ribadendo la necessità, soprattutto in Libia, non inclusa tra i sottoscrittori della Convenzione di Ginevra, di consegnare a chi gestisce il Paese la chiave della democrazia, per sconfiggere lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Gli altri membri dell’Unione, inoltre, dovrebbero impegnarsi di più nella riformulazione e osservanza di un piano di ricollocamento dei migranti equo ed efficace (tanto per legittimare il diritto di critica al lavoro altrui, ci sentiamo di aggiungere).
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