Francesco e la Teologia del popolo
Ho riportato in una precedente nota i giudizi critici che intellettuali e stampa argentina vengono dando dell’attuale Pontefice. Queste critiche non si sono certo attenuate quando il Papa, sorvolando l’Argentina nel suo viaggio in Cile e Perù, si è limitato a inviare al Presidente Macri un formale telegramma di saluto, per di più – cosa che sfiora l’insulto – in lingua inglese. Mentre di un eventuale viaggio pontificio in Argentina non si parla neppure. Alcuni accenni vaticani fanno capire che non avverrebbe prima delle elezioni presidenziali di fine 2019, cioè di fatto nel 2020, quando, è da pensare, il Papa spererebbe a Buenos Aires un’Amministrazione più conforme alle sue vedute populiste.
Anche alcuni gesti fatti durante la sua visita in Cile non sono piaciuti. Nella grande riunione di Santiago, il Papa si è comportato con evidente freddezza col Presidente eletto Pineira (che assumerà la presidenza in marzo), uomo notoriamente di destra, mentre ha coperto di effusioni l’ex-Presidente socialista Lagos. Inoltre, ha insistito nel tenere al suo fianco, e difendere anche con arroganza, un vescovo cileno accusato dalle vittime di pedofilia di aver coperto sacerdoti responsabili. Poi, su questo punto, nel viaggio di ritorno, Bergoglio si è in parte ritrattato, ma l’offesa alle vittime resta.
Questo complesso di fatti stimola ovviamente le polemiche, ma anche una ricerca approfondita delle origini e punti forti del pensiero papale. Ormai, questo pensiero viene riassunto nella c.d. “Teologia del Popolo”, una versione più blanda, ma pur sempre significativa, della “Teologia della Liberazione”, che infierì per molto tempo in America Latina (ma a quel tempo Bergoglio, dirigente gesuita e poi vescovo di Buenos Aires, si manifestava contrario). È difficile definire con esattezza cosa questa Teologia significhi. In estrema sintesi, può dirsi che è una visione pauperista della Chiesa e del messaggio evangelico, portata a valorizzare al massimo, non le istituzioni democratiche, né l’economia liberale capace di dare progresso e, attraverso il lavoro, dignità ai più, ma un mitico “popolo cristiano”, ovviamente riferito ai suoi strati più deboli, e guidato dalla Chiesa (su questo aspetto, ovviamente, il pensiero papale si scontra con la sinistra radicalizzata, che considera rivale).
In questo contesto, il Papa viene moltiplicando gesti significativi, come la nomina a vescovi di due esponenti argentini della vecchia “Teologia della Liberazione”, e il favore con cui riceve in Vaticano sindacalisti, politici e dirigenti degli organismi impegnati sul fronte dei diritti umani (il che andrebbe benissimo, se non si trattasse di movimenti per cui i diritti umani si riassumono e limitano al tema dei “desaparecidos”, ignorando per esemp0io bellamente quanto avviene in regimi di sinistra come Cuba e Venezuela, e per di più fortemente vincolati al populismo kirchnerista). Va segnalato anche il fatto di aver dedicato una grande riunione e una messa, nel suo viaggio in Cile, agli indigeni Mapuche, un popolo aborigeno in cui sono presenti minoranze che in Cile e Argentina rivendicano e spesso occupano terre e beni altrui con metodi di prepotente violenza. Del resto, questa stessa minoranza non ha bene accolto la visita e le aperture papali, attaccando prima del suo arrivo molte parrocchie cilene.
Insomma, un pensiero papale a senso unico, sostanzialmente chiuso alla realtà della vita e dell’economia moderne, ostile in principio al sistema liberale-capitalistico, portato a privilegiare l’assistenzialismo, in alcuni casi necessario e sacrosanto, ma a lungo termine contrario a uno sviluppo reale della società, basato sul lavoro e sulle continue conquiste della scienza e della tecnologia. Di quelle forze, cioè, verso cui una certa parte della Chiesa mantiene una atavica ostilità.
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