Tra Pasolini e la maestrina con la penna rossa
Se recenti episodi di bullismo e di aggressioni a docenti nelle scuole hanno riportato alla mente le gesta non certo edificanti di Franti, dobbiamo scomodare ancora Cuore per ricordare la Maestrina dalla penna rossa e paragonarla a Lavinia Flavia Cassaro, la maestra di una scuola di Torino che ha insultato e augurato la morte a poliziotti che svolgevano il servizio di sicurezza ad una manifestazione. Ovviamente il paragone va totalmente a favore del personaggio di De Amicis, perdonandole anche eventuali anacronismi avanzando anche la speranza del ritorno di queste figure.
Le modalità e il contesto in cui la Cassaro ha manifestato e poi ribadito le proprie idee e posizioni in almeno un’intervista, pongono non solo dubbi su modalità e limiti dell’esercizio del diritto di parola nonché sulle capacità della persona a svolgere funzioni di docente ma anche, aspetto non trascurabile, anche sulle modalità di selezione degli insegnanti, colorò cioè che sono deputati non solo a fornire nozioni ai loro allievi, ma anche un modello di comportamento.
Chissà tra quanti hanno figli, chi sarebbe felice di sapere che la loro insegnante partecipa a manifestazioni di piazza insultando e augurando morte; a prescindere dal destinatario. Puerili e ai limiti del patetico le giustificazioni addotte dalla Cassaro ad un programma televisivo. Senza minimamente dare una giustificazione al proprio comportamento, quantomeno per rispetto del suo ruolo istituzionale, l’insegnante ha mantenuto le proprie posizioni giungendo a giustificare una sua presenza con un fucile contro le forze dell’ordine. Quelle stesse forze dell’ordine che sono di fatto colleghi della Cassaro stessa, avendo lo stesso datore di lavoro: quello Stato che entrambi dovrebbero rispettare e nei rispettivi ruoli rappresentano. Invece la Cassaro si è posta al livello dei più beceri cori da stadio: il “devi morire” urlato al giocatore avversario infortunato.
Se fosse coerente con le proprie idee la maestra non avrebbe neppure dovuto pensare di entrare in quell’amministrazione che, secondo lei, protegge il fascismo. Mai come in questo episodio ideologia e coerenza si pongono in profonda antitesi. Ovvia conseguenza, intanto, l’apertura di un procedimento disciplinare che, giustamente, potrà portare al licenziamento. È del resto obiettiva la gravità dei reati ipotizzati: dall’oltraggio alle minacce fino all’istigazione a delinquere, ma è palese anche l’inconciliabilità del comportamento della maestra con quelli che sono i doveri connessi al proprio ruolo, anche per l’immagine verso l’Istituzione che rappresenta. Inconsistenti le presunte addotte giustificazioni secondo cui un insegnante va valutato solo per la passione e l’amore che mette nel proprio lavoro. Un insegnate deve essere un esempio non solo nelle aule per i propri studenti, e le valutazioni andrebbero fatte sul livello di insegnamento, argomento su cui la stessa ha glissato. Avrebbero suscitato maggiore simpatia, come gesto di protesta, le dimissioni dell’insegnante che non si riconosce in un sistema antidemocratico. Sarebbe stato coerente.
La mente corre a un altro scrittore (e non solo) che in tema di manifestazioni di piazza aveva fatto sentire la propria pesante voce. Pier Paolo Pasolini, in un momento in cui gli scontri di piazza avevano un significato ben più importante di quelli attuali (che hanno fatto da sfondo a una campagna elettorale povera sotto ogni livello) aveva ricordato che i poliziotti, contro cui i manifestanti, per lo più studenti, facevano a botte, erano i veri poveri e figli di poveri: gli sfortunati, rispetto a chi, mantenuto dalla famiglia, poteva permettersi di passare le giornate in dibattiti o occupando le università oltre a chiedere agli operai di fare lo stesso nelle fabbriche, senza neppure pensare che un operaio doveva mantenere la propria famiglia. La stessa cosa che fanno i poliziotti insultati e minacciati.
In tutto ciò si pone un’aggravante a carico di chi ha un certo modo di protestare: il non metterci la faccia. Felpe, cappucci, passamontagna, maschere delegittimano ogni forma di protesta, e rendono ancor meno credibile e più vile chi la difende. Nella scelta tra la pseudo pasionaria di Torino e la Maestrina dalla penna rossa, con il placet di Pasolini, la scelta è fin troppo facile.
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