Giovani, dal perfezionismo all’insicurezza
Da sempre, i giovani cercano sé stessi. Cercano di essere all’altezza delle ‘sfide’ che la realtà propone loro, o contestandone i fondamenti oppure cercando di primeggiare entro ed oltre i suoi confini. Ma negli ultimi decenni i giovani sono diventati sempre più perfezionisti, al punto da portare la loro salute mentale entro l’area del rischio: è questo il risultato di uno studio della York St John University, pubblicato su Psychological Bulletin. “I giovani di oggi sono in competizione l’uno con l’altro per soddisfare le pressioni della società ad avere successo e sentono che il perfezionismo è necessario per sentirsi sicuri, socialmente connessi e di valore”, ha spiegato Thomas Curran, autore principale dello studio. Ma oggi la competizione per l’eccellenza, che si è andata a sommare alle tante altre difficoltà del vivere amplificate dalla delicatezza dell’età giovanile, sta producendo l’aumento, fra i giovani, di depressione, ansia e pensieri suicidi. Come si è arrivati a questo? E si possono considerare i giovani in difficoltà come sporadici ‘casi limite’, o come un ‘costo da pagare’ al progresso? Quella che sta emergendo non è, invece, una ben più rilevante ‘crisi di sistema’, sebbene ancora emergente e quindi poco ‘riconosciuta’, al di fuori dell’ambiente scientifico, dalla maggioranza delle persone?
Il fatto è che siamo abituati a considerare la competizione per l’eccellenza come qualcosa di ‘positivo’: ma se i giovani sono a rischio, forse è ora di cominciare a riflettere su questa idea. Per l’area interessata dallo studio, i dati suggeriscono un ruolo dei social media, che possono rendere insoddisfatti di sé e aumentare l’isolamento sociale: attraverso i social, le persone si confrontano non più con i propri ‘vicini’, ma con una selezione elevatissima, persone che eccellono a livello mondiale e per giunta in tanti settori contemporaneamente, come è possibile fare passando da un video o un post ad un altro, come l’aspetto, il successo, la reputazione. Ora, davanti al video le persone sono letteralmente ‘sole’ nel vivere il confronto: un confronto che il più delle volte risulta perdente, con un effetto più grave se si è nell’età della auto identificazione, l’età giovane. Ma perché si è creato, e si accetta, un mezzo tecnologico pericoloso per le persone?
Lo studioso dei media McLuhan affermò che ‘il mezzo è il messaggio’, ed è vero che la tecnologia nel suo insieme, non solo quella delle comunicazioni, è arrivata addirittura a modificare i fini e gli obiettivi di bene per l’umanità che la giustificavano, e che doveva soltanto ‘servire’. Ma la tecnologia non ha certo fatto tutto da sola. Il fatto è che questo è stato, ed è ancora, consentito: dall’uomo. E’ l’uomo che decide, e la ‘resa’ alla tecnologia è stata una scelta, una scelta dell’uomo, anche se nei termini di una non-scelta. A ben vedere, infatti, la mentalità ‘tecnicista’ ha preso il sopravvento negli ultimi cento anni approfittando dello sfiancamento morale dell’uomo dovuto alle atrocità delle due guerre e offrendo alle persone, al loro desiderio di ricostruzione, i palliativi degli oggetti, del benessere, e la soddisfazione dei consumi. Ma in questo modo la tecnica ha preso il sopravvento sull’uomo. Tecnica nella produzione, nel lavoro, nella politica, nelle istituzioni, nei rapporti internazionali, nella burocrazia, nelle relazioni interpersonali, nelle gestione del proprio benessere, nell’estetica, nello sport, e perfino nella scienza. E tecnica nella preparazione a tutto questo: a cominciare dalla scuola, dove i giovani vivono e si confrontano nei loro anni più importanti per la crescita personale.
La scuola di oggi, soggiogata dall’ansia istituzionale di formare lavoratori competitivi – e competitivi in un mercato del lavoro ormai mondiale – è una scuola che dagli Usa alla Cina passando per l’Europa per via di una malintesa interpretazione del ‘merito’ esalta le prestazioni. E’ una scuola che privilegia le materie ‘scientifiche’, che però tali non appaiono nei programmi, risultando mere successioni di procedure – travisamenti dello spirito di unificazione delle scienze prevalso nel tardo Ottocento. E’ una scuola che scannerizza e quantifica persino i testi letterari. E’ una scuola che satura le giovani menti di informazioni tanto da non lasciare spazio a riflessione e intuizione. E’ una scuola sempre più orientata al lavoro – almeno nelle intenzioni: già, ma al lavoro esecutivo, non a quello creativo e innovativo; ovvero al tipo di lavoro richiesto dalle multinazionali, dequalificato, non garantito, e ad alta competizione, diverso dal lavoro utile per creare le imprese del Made in Italy. E’ una scuola che prevede un sistema di valutazione sempre più quantitativo piuttosto che qualitativo, vedi i test Invalsi. Insomma, è una ‘scuola della prestazione’, che si affianca ai social e a tutti gli input prestazionali invece di insegnare alla persona a controllare tutto ciò, e che quindi non aiuta i giovani a gestire il loro confronto con la realtà, ma che spesso all’ansia aggiunge altra ansia.
Dietro l’idea di uomo e di società che spinge i giovani alla perfezione estrema fino a contribuire, insieme a tanti altri fattori, alla depressione o al desiderio di suicidio, c’è un’idea meccanicistica ed efficientistica di uomo e di umanità: una umanità che, se fosse ridotta a questo, potrebbe meglio essere sostituita dalla società di robot prefigurata dai sostenitori del transumanesimo. L’allarme degli psicologi e la ricerca della York St John University hanno il grande merito di aver evidenziato la crisi del modello di società tecnocratica che abbiamo lasciato prevalere. Ora però, se si vuol cogliere l’occasione epocale e salvare i giovani ed il futuro, comincia il lavoro più difficile, terribilmente difficile: uscire dai propri pregiudizi e stereotipi, uscire dall’area di comfort delle proprie abitudini mentali, osservare con distacco l’esaltazione della tecnica dentro la quale siamo abituati a ragionare, e riflettere sul diritto o meno della tecnica di prevalere sull’uomo. E, se ci appare come l’assurdità che è, come una svista temporanea del progresso della nostra società, cominciare a cambiare.
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