Il secondo round e il problema del PD
Come era largamente prevedibile e previsto, il primo giro di consultazioni del Quirinale per la formazione del nuovo governo non ha dato risultati. Il Presidente Mattarella l’ha detto con grande chiarezza, indicando che occorre ancora tempo perché i partiti definiscano le loro posizioni finali e trovino, se possibile, un accordo. Ma quanto tempo? Nel 2013, ricordiamolo, ci vollero due mesi e il deciso, quasi autoritario, intervento del Presidente Napolitano, a quel momento in una posizione di forza quasi unica essendo stato rieletto a richiesta generale per un secondo mandato. In Germania ci sono voluti quasi sei mesi. È legittimo pensare che il secondo giro di consultazioni, previsto per la settimana prossima, non sarà sufficiente anche se forse permetterà al Capo dello Stato di intravvedere qualche maggiore indizio per una possibile soluzione.
Il fatto è che i protagonisti, Salvini e Di Maio, si trovano ancora impigliati on complicazioni che hanno loro stessi contribuito a creare, coi veti incrociati e le questioni personali. Di Maio punta con ogni evidenza a dividere la Lega da Forza Italia, cosa che gli consegnerebbe un Salvini dimezzato. Ma Salvini non può, almeno in questa fase, permetterlo. Le chiavi sono dunque in mano, in realtà, ai perdenti del 4 marzo: Berlusconi e il PD.
Berlusconi sta combattendo una lotta di pura sopravvivenza. Già deve ingoiare Salvini Primo Ministro, figurarsi Di Maio Premier, appoggiato dalla Lega ma con FI fuori del gioco e, almeno dal punto di vista dei numeri parlamentari, irrilevante. E questo significa pericoli molto concreti per conflitto d’interessi, Mediaset ed altri temi vitali per l’ex-Cavaliere. Ma il personaggio, lo abbiamo detto più volte, è pieno di risorse e, se non ha perduto del tutto il “tocco magico”, sarà forse capace di tirar fuori una soluzione che gli salvi la faccia e protegga i suoi interessi: impuntature sul programma e sulla composizione dell’esecutivo? Appoggio esterno? Accordo su un Premier “terzo°? Tutto è possibile.
Altro discorso merita la posizione del PD. Che il partito stia leccandosi le ferite, si capisce. Che veda con interesse un periodo di opposizione, che di solito giova alle forze politiche, è legittimo. Ma queste considerazioni suonano poco convincenti al vaglio della realtà politica e degli interessi del Paese. È contraddittorio agitare lo spauracchio di un asse Lega-5 Stelle, considerandolo una specie di sciagura per l’Italia, e poi non fare nulla per evitarlo, anzi, posizionandosi in modo da renderlo quasi inevitabile.
Qui, non stiamo discutendo degli interessi di questo o quel partito o gruppo dirigente, ma del futuro del Paese, del suo ruolo in Europa e nel mondo. Se fossero coerenti con sé stessi, i dirigenti democratici dovrebbero porsi seriamente il problema, a cominciare da quello della nostra partecipazione all’Europa, e dovrebbero concludere che solo appoggiando, in una forma o in un’altra, un governo Di Maio, potrebbero influire positivamente sui suoi programmi e condizionarne giorno per giorno la politica. Capisco il risentimento, capisco le idiosincrasie, anche della base, ma da un partito dimostratosi in passato responsabile, ci si aspetta che metta davanti a tutto il bene comune.
Per ora, tutte le indicazioni sono in senso contrario. Solo due elementi possono far pensare: la ripetuta dichiarazione del Segretario reggente, Martina, secondo cui il PD ascolterà le eventuali indicazioni del Capo dello Stato; e la più recente presa di posizione per cui con Di Maio si parlerebbe solo dopo che gli fosse conferito l’incarico. Badate bene: non “mai” (come penso accadrebbe con Salvini) ma solo con l’aiuto del Quirinale.
Forse siamo ancora in fase di tattica, condotta per mettere il PD in una posizione negoziale di favore o ridorarne l’immagine. Forse l’idea è di scaricare su Mattarella la responsabilità di scelte strategiche certo difficili, riservandosi il ruolo delle forza responsabile che ascolta il richiamo istituzionale e permette la formazione di un governo. Forse. Ma sono calcoli pericolosi, visto che l’altra uscita dal tunnel starebbe in nuove elezioni, costose per le finanze pubbliche e dannose per un Paese che deve andare avanti. Elezioni che tutti, spavaldamente, dicono di non temere, ma che in realtà favorirebbero, stando ai sondaggi, Lega e 5 Stelle, che insieme potrebbero agevolmente superare il 50% e quindi legittimarsi a governare senza l’ingombro di alleanza scomode.
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