La politica dei tweet

Tra le tante strane novità del nostro tempo, c’è la grande diffusione della politica dei tweet. Adesso, per far sapere quello che pensa, un politico non fa una dichiarazione alla stampa, ma lancia un tweet. Normale, mi direte, in un’epoca di comunicazioni globali e istantanee. Certo, ma il guaio comincia quando questa pratica si applica alla politica internazionale, che è cosa più seria e richiede, e richiederà sempre, ponderatezza o, come ci si insegnava nella Farnesina dei miei primi tempi, “prudenza di linguaggio”. A quell’epoca, accoglievamo il consiglio con una certa punta di derisione. Ci sembrava cosa da Tartufi. E tuttavia, l’esperienza insegnava immancabilmente che si trattava di saggezza. Perché la parole contano, diventano fatti, specie in un sistema di comunicazioni approssimativo e semplicistico, che ama i grandi titoli e, se possibile, le risse.

Ma di risse è fervente cultore e maestro Donald Trump. I suoi tweet sono per lo più bravate da contesa di galli, si capisce che per lui è importante sfogare, infantilmente, i suoi risentimenti gonfiando i muscoli e alzando la voce. Si era già illustrato ricordando al dittatore nord-coreano “il mio bottone nucleare è più grande del tuo” (frase tipica di una lite tra adolescenti prepotenti). Ora rincara la dose minacciando nientedimeno che la Russia. “Vedrete, vedrete, i miei missili!”. Talvolta, con Trump, le parole non sono seguite dai fatti, sono solo carte in un bluff da poker, ma anche così lo spettacolo è indecoroso e pericoloso. Specie quando dall’altra parte non c’è un dittatorello da quattro soldi e ma un politico della raffinata capacità da scacchista di un Putin. E tra l’altro c’è nelle bravate trumpiane, una grande dose di incoerenza: ma come, il suo programma non era un accordo di largo respiro con Mosca, basato sul riconoscimento del ruolo della Russia come grande potenza? E perché ora viene dicendo che i rapporti USA-Russia sono peggiori anche dei tempi della Guerra Fredda? Il che è ovviamente una solenne bufala, che prova che questo signore non conosce neppure la storia del Secolo XX. Che cerchi di far dimenticare il Russia-gate e l’indagine dell’FBI? Che alzi i toni per poi negoziare meglio? Ho visto una produzione americana su di lui, centrata soprattutto sulle sue vicende di imprenditore, sempre al limite tra il successo e il fallimento, e chiaramente megalomane, ma capace di tirarsi fuori dal disastro con uno scatto dell’ultimo istante. È questo il caso? Vedremo, ma pensare che le sorti del mondo sono nelle mani di un tipo così mette davvero i brividi.

Nel merito della crisi siriana, ho già scritto quello che penso. Demonizzando Assad, l’Occidente si è messo in un vicolo cieco dal quale ora è difficilissimo uscire. Il Governo ha pienamente ragione quando esclude la nostra partecipazione ai raid sulla Siria. La questione però è un’altra: che faremmo se i raid, o una parte di essi (il resto partirebbe da navi americane), dovessero essere lanciati dalla base di Aviano o altre in Italia?

Salvini ha preso una posizione pro-putiniana che pare annunciare un veto italiano. Non dico che abbia torto. Dico solo che saremmo in seria difficoltà con gli Alleati maggiori, specie gli USA. Che ne pensa realmente Berlusconi, che a suo tempo ha fatto il cagnolino scodinzolante di George W. Bush?

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