Verso nuove relazioni Vaticano-Arabia Saudita?

Un cardinale del Vaticano si è recato a Riyad qualche settimana fa per una  visita ufficiale resa storica dal fatto che in quel Paese nessun culto, oltre all’Islam, è permesso. L’incontro si è concluso con la firma di un accordo di cooperazione.

E’ un uomo chiave del Vaticano del quale fu capo della diplomazia con Giovanni Paolo II. Il cardinale Jean-Louis Tauran, oggi presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, ha concluso lo scorso 20 Aprile una visita storica di sei giorni in Arabia Saudita, culla del wahabismo che applica una interpretazione ultrarigorista dell’Islam e bandisce qualsiasi altra pratica religiosa. E’ la prima volta che un cardinale di tale statura viene ricevuto ufficialmente dal Regno. I media di Stato, che hanno seguito molto da vicino questa visita eccezionale, hanno riportato che l’alto prelato di origine francese ha incontrato il Principe ereditario Mohammed bin Salman a Riyad. Questa si è conclusa con la firma di un inedito accordo di cooperazione tra il Regno e il Vaticano, impegnandosi ad organizzare un incontro incentrato su un tema sociale ogni tre anni. In un’intervista concessa a Vatican News al rientro dal suo viaggio, il cardinale ha detto essere molto felice per questo inizio di riavvicinamento, sintomo della “volontà delle autorità di dare una nuova immagine del Paese” dove “i non-musulmani rimangono cittadini di serie B”. Il prelato rimane tuttavia prudente sulla possibilità di una concreta apertura del Regno alla pratica di altri culti. Preferisce evocare la “volontà di apertura”.

Di fronte allo sceicco Mohammed Al-Issa, segretario generale della Lega Islamica mondiale, il cardinale ha invocato l’uguaglianza di trattamento per tutti i cittadini, senza distinzione di religione, compresi “i cittadini che non professano nessuna religione”. Un vero tabu in un Paese dove l’apostasia è condannabile con la pena di morte. Il prelato ha anche chiesto “regole comuni per la costruzione di luoghi di culto”, riporta l’Osservatore Romano. La costruzione di chiese è vietata nel Regno nel quale tuttavia vivono 1,5 milioni di cristiani, ossia poco più del 4% della popolazione, in maggior parte lavoratori espatriati. Secondo gli esperti, Papa Francesco, incaricando della missione il cardinale Tauran nel quale pone tutta la sua fiducia, ha senza dubbio colto il segnale di possibilità di uno spiraglio di apertura. Conta approfittare dell’atteggiamento di disponibilità, finta o meno, del Principe ereditario Mohammed bin Salman di promuovere il dialogo interreligioso e alcuni valori ecumenici che gli sono a cuore in un Regno finora conosciuto per la sua chiusura a qualsiasi intrusione religiosa straniera nella sua stretta osservanza wahabita. Da qualche mese il Regno ha in effetti addolcito la sua politica ultraconservatrice sotto impulso del Principe ereditario, che ha permesso alle donne di guidare e frequentare gli stadi, autorizzando cinema e concerti.

Ma per l’Arabia Saudita, questa visita può non essere che un’operazione di comunicazione per avvalersi di un’immagine meno arcaica più che un impegno della sua volontà di affrancarsi dal wahabismo? Sicuramente un po’ tutte e due le cose. Questa visita arriva dopo una serie di annunci del Principe ereditario a favore di un Islam moderato. In un discorso pronunciato lo scorso 24 ottobre, ha affermato voler “tornare ad un Islam moderato, tollerante ed aperto verso il mondo e verso tutte le altre religioni”. Parallelamente, un decreto promulgato da Re Salman, passato inosservato, ma non meno importante, ha previsto la creazione di un ‘Alta Autorità’ incaricata della verifica dell’autenticità di alcuni Hadit del Profeta e incaricata di lottare contro qualsiasi interpretazione estremista.

I primi passi di apertura sembrano in effetti essersi compiuti. Ma è senza dubbio anche un’abile operazione di comunicazione . La visita del cardinale Tauran, così mediatizzata, è un messaggio destinato all’esterno, in occorrenza all’Occidente, dove ‘MBS’ (così viene spesso soprannominato il Principe ereditario, ndr) vuole proiettare un’immagine di riformatore e modernizzatore. Ma è anche diretta all’interno, in modo più subliminale,  all’establishment wahabita, destabilizzato dalle riforme di MBS, che si rifugia in un silenzio siderale per paura di una repressione crescente che ha già portato alla destituzione, se non all’arresto, di numerosi predicatori giudicati “estremisti”.

Nel 2017, Mohammed bin Salman ha lanciato una grande purga nel Regno. I primi ad esserne colpiti sono stati decine di principi, ministri e uomini d’affari fermati nel quadro di una “operazione anticorruzione”.

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