Economia e lavoro, intelligenze a confronto

Per mantenere le rispettive leadership nell’economia, gli Usa puntano sull’intelligenza artificiale, la Germania invece su quella in carne ed ossa. Proprio oggi infatti il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ospiterà alla Casa Bianca i big della Silicon Valley per parlare di intelligenza artificiale. Per mantenere la leadership americana nell’intelligenza artificiale, l’amministrazione deve continuare a investire in ricerca e sviluppo e in programmi che consentano di offrire alla forza lavoro i requisiti del futuro, ha affermato Dean Garfield, presidente dell’Information Technology Industry Council. E durante l’apertura di Google I/O, l’annuale conferenza degli sviluppatori, il Ceo del colosso, Sundar Pichai, ha affermato che l’intelligenza artificiale è al cuore di tutto. Dall’altra parte dell’Atlantico, invece, la Germania scommette ancora una volta sulle risorse umane. L’economia tedesca continua a crescere, ma manca forza lavoro qualificata. Mancano cervelli. Mancano persone. La soluzione? Aumentare il numero dei migranti. Secondo gli istituti economici tedeschi Ifo, Diw, Ifw, Rwi e Iwg, questa soluzione potrebbe anche risolvere le incertezze attualmente presenti nel sistema previdenziale della Germania.

Il confronto fra il modello di sviluppo statunitense e quello tedesco fa riflettere, e seriamente, sul futuro che vogliamo. A confronto ci sono due modelli: quello ipertecnologico statunitense, dove prevale l’idea che ‘l’intelligenza artificiale è al cuore di tutto’, e quello etico, che punta sull’uomo. Due modelli agli antipodi rispetto al rapporto uomo-tecnologia. Dalla prima volta che un homo erectus maneggiò un bastone, a decidere è stato l’uomo, non il bastone. Una tecnologia ‘intelligente’ al punto di decidere al posto dell’uomo fa pensare invece ad un mondo sul quale a comandare è il bastone.

Ma come mai negli Stati Uniti si sta puntando sull’intelligenza artificiale e in Germania su quella originale? E come mai un modello così importante (anche) per l’economia viene sviluppato (a partire) dall’economia? Tracciandone le caratteristiche per sommi capi, in economia e non solo gli Usa sono gli Usa perché hanno sempre ragionato in chiave strategica, di controllo e superiorità totale, ed hanno investito più dollari di qualsiasi Paese al mondo, anche per importare talenti. Una strategia che non sempre ha garantito il successo: ma per le menti Usa, la leadership nell’intelligenza artificiale rappresenta oggi la nuova frontiera dello sviluppo, ma anche la speranza del controllo di tutto. La Germania, invece, è la Germania perché ha sempre considerato patrimonio prezioso le proprie risorse umane.

Fra questi estremi, gli altri Paesi hanno cercato la loro via: investimenti massicci e/o genio, quantità e/o qualità. L’Italia, caso a parte, ha forgiato a costi esorbitanti risorse umane spesso straordinarie, come per puntare sulla qualità; ma poi le ha sempre sottoutilizzate, lasciando fuggire cervelli e imprese verso Paesi più capaci di valorizzarli. Aprendo parentesi, un confronto fra le storie delle industrie automobilistiche di Italia e Germania è illuminante. Di fronte alla crisi del mercato dell’automobile, imputata anche al costo della manodopera, l’industria nazionale del Bel Paese, la Fiat, ha seguito il modello americano, quello della contabilità, quello del taglio delle teste, ed ha reagito ‘esportando’ i posti di lavoro all’estero. Parentesi nella parentesi: l’Istat ci dice oggi che cinque milioni di persone, l’8,3 per cento degli Italiani, vivono in povertà assoluta, e che oltre un milione di famiglie sono senza lavoro: il doppio di dieci anni fa. La Germania, invece, ha messo al lavoro i manager: e così all’estero ha trasferito gli impianti, andati a produrre le Skoda e le Seat: a minoro costo, ma di qualità Volkswagen-Audi-Porsche, gruppo del quale fanno parte, e quindi capaci di far concorrenza a costo minore alle auto dell’Oriente. I suoi operai, i suoi quadri, i suoi manager, la Germania se l’è tenuti stretti, sebbene pagati più di quelli italiani: e questi operai continuano a produrre in patria l’eccellenza nel settore automobilistico e le condizioni di benessere per garantirne il futuro.

Cos’hanno gli operai della Volkswagen, dell’Audi, della Porsche, della Bmw, della Mercedes, cos’hanno quelli della Fiat, della Lancia, dell’Alfa Romeo, della Ferrari, della Maserati, ma pure quelli della Ford, della General Motors, e quelli della Toyota, della Nissan e così via girando per il mondo – e non dimenticandone nessuno? Il cervello. O meglio: quello che oggi la scienza studia come cervello umano, ovvero l’insieme corpo-mente che produce emozioni e decisioni, ma anche piacere, e anche nulla. Qualcosa che la scienza non conosce ancora bene, eppure i tecnomani continuano a giurare di poter replicare: entro uno, cinque, dieci, cento anni, però ci si arriverà, assicurano. Ma il cervello umano è qualcosa che sfuggirà sempre a qualsiasi ‘fuzzy logic’, è il ‘bosone di Higgs’ della biosfera: e la pratica di intasarlo di spazzatura mediatica, su cui è costruita la distorsione commerciale della civiltà della comunicazione, non può renderlo meno potente dell’intelligenza artificiale. Per questo nello stesso momento in cui da una parte dell’Atlantico si continua a puntare sull’intelligenza artificiale, dall’altra non si svaluta la tecnologia, ma si privilegia il cervello umano.

Di fronte a tutto ciò, viene da chiedersi come noi vediamo la nostra economia, il nostro lavoro, il nostro benessere, la nostra vita quotidiana. Viene da chiedersi se noi, presenti alla nostra vita, ci interroghiamo sul nostro futuro: o se, consumatori di esistenza, preferiamo lasciarci investire da quello confezionato per noi da altre intelligenze.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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