Questione libica, Sarraj e Haftar alla corte di Macron

La Francia mostra ancora una volta – se mai ce ne fosse stato bisogno – l’interesse particolare riservato alla Libia. Non parliamo solo di volontà di riportare stabilità politica nella martoriata regione o di trovare soluzioni ai flussi migratori nel Mediterraneo e alla loro equa distribuzione su suolo europeo, faccenda – quest’ultima – che, peraltro, non vede i transalpini in prima linea. Siamo più maliziosi. Parliamo del terzo fattore sottostante, quello che ha sempre animato tanto gli sforzi diplomatici di Parigi nell’ultimo periodo, quanto i venti di guerra scatenati dalle mire espansive della passata amministrazione Sarkozy: il petrolio. La Francia, con Spagna e Italia, è il grande Paese europeo che, affacciandosi sul Bacino mediterraneo, non può trascurare l’importanza strategica ed economica della fascia nordafricana.

Sempre attivi nel continente nero, anche conclusosi il colonialismo come storicamente lo conosciamo, i francesi reputano la Libia centrale per le risorse energetiche e la posizione geografica. L’Europa ha sempre invidiato all’Italia lo stretto e amichevole rapporto intercorrente con Tripoli, sin dai tempi di Gheddafi. L’Eni ha solide radici nell’area e importanti impianti, Roma è tuttora vista come partner naturale e interlocutore privilegiato sul piano degli scambi economici e del dialogo politico. Ma qualcuno, anche a scapito nostro, ha sempre cercato di mettere lo zampino in Libia, con le buone o con le cattive. Da quando Macron s’è insediato all’Eliseo, Parigi ha raddoppiato la marcatura su Tripoli: il caos nel Paese va sicuramente risolto, ma al tempo rappresenta una ghiotta opportunità per penetrare laddove – in precedenza – non si godeva di grossi margini di manovra e per allacciare proficui rapporti commerciali, in cambio di sostegno nel processo di riunificazione.

Il presidente francese si è mosso con impegno e tempestività, approfittando della latitanza dell’Italia, in queste ore alle prese con uno scontro istituzionale e politico per la formazione del nuovo governo, collocabile tra l’epico, per proporzioni, e il tragicomico, per i reiterati fallimenti delle parti in gioco nel raggiungere almeno una parvenza di soddisfacente accordo.

A Parigi, Emmanuel Macron, con un’iniziativa politico-diplomatica di fatto unilaterale, ha scavalcato a piè pari i Paesi membri Ue, in particolare l’Italia, protagonista nella gestione delle ondate di migranti sulla rotta mediterranea, e riunisce al tavolo delle mediazioni i 4 principali leader libici, tra loro antagonisti: il premier riconosciuto dall’Onu Fayez al-Sarraj, il generale anti-islamista Khalifa Haftar (dominus della Cirenaica forte dell’appoggio di Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e della stessa Francia), il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk Aguila Saleh Issa e quello del Consiglio di Stato Khaled al-Mishri, esponente della Fratellanza Musulmana. La conferenza è stata convocata sotto l’egida dell’Onu, ma Macron “ha dimenticato” di invitare l’inviato delle Nazioni Unite Ghassan Salamè. Il frutto del dibattito consta di una dichiarazione d’intenti in 8 punti che dovrebbe chiamare al voto i libici il prossimo 10 dicembre e riportare a Tripoli il Parlamento.

Il vertice è stato osteggiato dall’assenza di 13 milizie libiche vicine a Sarraj, che rifiutano interferenze straniere nella sovranità e unità del Paese, temendo – evidentemente – l’assegnazione di un ruolo politico preminente ad Haftar, ai danni del vigente premier. L’Eliseo ha ringraziato Roma per l’impegno esemplare sul fronte migrazione, ma l’Italia, attualmente senza ministro degli Esteri in carica, è stata rappresentata dal solo ambasciatore Teresa Castaldo, con una ovvia diminutio di peso specifico all’interno del vertice.

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