Cronache dai Palazzi
Il governo del cambiamento è partito ma il presidente del Consiglio chiarisce: “Ci siamo appena insediati, dobbiamo ancora costituire gli uffici, non chiedeteci un articolato”, tutto ciò rispondendo a chi chiede al governo di “dettagliare gli obiettivi” che si vogliono raggiungere.
Il nuovo premier Giuseppe Conte annuncia che l’Italia “rinegozierà il debito con fermezza e risolutezza” senza sottovalutare la necessità di “ridurlo gradualmente”. Altro nodo al pettine la flax tax e la tassazione che dovrebbe favorire i più abbienti, ma il governo Conte è convinto che ne beneficeranno tutti. “L’obiettivo è aiutare tutti e che tutti paghino di meno: chi guadagna di meno e chi guadagna di più”. Due le aliquote, quella del 15% sui redditi fino a 80 mila euro e il 20% per quelli superiori. Per ora mancano per l’appunto i dettagli della proposta e quindi occorre usare molta prudenza negli avvisi. A proposito delle polemiche riguardo al fatto che sia un provvedimento a vantaggio dei più ricchi, Matteo Salvini ha risposto per le rime di fronte ai microfoni di “Radio Anch’io” (e non solo): “Se uno fattura di più è chiaro che risparmia di più, reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in più e crea lavoro in più”. Una spiegazione che, come era ipotizzabile, ha scatenato diverse reazioni politiche, ad esempio il tweet del presidente del Pd Matteo Orfini, che sul social network ha scritto: “Finalmente hanno detto la verità. A questo serve l’annunciata rivoluzione fiscale, a far guadagnare chi è più ricco, a danno di tutti gli altri”. Per LeU si tratta di una “riforma incostituzionale”, invece Giovanni Toti di Forza Italia ha sottolineato: “Ridurre le tasse è giusto, ma per chi si fa e con quali soldi?”.
Nell’Aula di Montecitorio il premier Giuseppe Conte ha puntualizzato, già prima del voto di fiducia, che sarà rispettato il principio costituzionale della progressività del prelievo. “Ci sarà un sistema di detrazioni e di no tax area – ha affermato Conte -. Confidiamo quanto prima di portare avanti un progetto di riforma”, non essendo per l’appunto ancora noti i dettagli.
“Non mi è chiara la logica economica”, ha dichiarato l’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Via XX Settembre dovrà in effetti rendere chiare più cose: prima di tutto quando partirà la riforma, se nel 2019 per le imprese e le famiglie o esclusivamente per le aziende e per le famiglie più numerose, e magari per tutti gli altri ne 2020. In secondo luogo rendere chiare le coperture strutturali, dato che la cosiddetta “pace fiscale”, ossia il maxi condono sulle cartelle, non sarebbe una misura continuativa bensì una tantum. A questo punto salta fuori l’aumento dell’Iva, che M5S e Lega non vogliono applicare ma che, nella maggior parte dei casi, rappresenta la ruota di scorta di ogni ministero dell’Economia. Magari l’ultima spiaggia.
“Avete la mia parola che l’Iva non aumenterà e le clausole di salvaguardia saranno disinnescate”, ha sottolineato il leader pentastellato Luigi Di Maio, di fronte all’assemblea di Confcommercio e una platea di piccoli imprenditori. Dematerializzare le clausole di salvaguardia comporta comunque il reperimento di ben 12,4 miliardi di euro, ma il nuovo ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico è sicuro del suo annuncio, mentre il nuovo ministro dell’Economia Giovanni Tria sembra possibilista a proposito dell’aumento dell’Iva. Per quanto riguarda la semplificazione invece, questione tra l’altro sollevata anche dal presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli – che ha sottolineato “sull’Iva non si tratta e non si baratta” – Di Maio ha replicato che “la ricetta per far decollare le imprese che creano lavoro, sviluppo, nuove tecnologie è lasciarle in pace”. L’obiettivo non sarebbe meramente quello di evitare di “bombardare i cittadini di leggi”, la semplificazione sarebbe indirizzata ad avere effetti sul fronte fiscale, tra cui l’eliminazione di strumenti come lo spesometro e il redditometro, inserendo “l’inversione dell’onere della prova. Perché siete tutti onesti – ha detto Di Maio agli imprenditori e ai commercianti – ed è onere dello Stato provare il contrario”. Strumenti come lo spesometro hanno “reso schiavi quelli che producono valore”, ha affermato il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico.
Di Maio ha inoltre annunciato misure diverse per individuare l’evasione: “Incroceremo tutti i dati della Pubblica amministrazione”, per dimostrarla, ha affermato. E per quanto riguarda le infrastrutture il codice degli appalti risulta “complicato e illeggibile” quindi occorre rivederlo, ma “chi dice che questo governo è il governo del no alle infrastrutture sbaglia”, ha sottolineato Di Maio.
Non tutto verrà stravolto, ha comunque affermato il nuovo premier Giuseppe Conte. “Noi, nell’immigrazione come nella scuola non arriviamo qui per stravolgere ciò che di buono è stato fatto”. Di sicuro sarà fatta una revisione come dei provvedimenti sulle banche e il credito cooperativo: “Credo sia opportuno distinguere tra banche che erogano credito e soprattutto caratterizzate a livello territoriale e banche di investimento votate più alla speculazione”, ha affermato Conte.
Sul fronte della giustizia, inoltre, il presidente del Consiglio ha additato come “manichea” la divisione tra “giustizialisti e garantisti”, preannunciando dei correttivi nel “rispetto della Costituzione”. “Oggi chi ha i soldi, chi può permettersi buone difese, riesce a difendere meglio le proprie ragioni”. E per quanto riguarda l’Autorità anti-corruzione Conte ha ribadito “l’idea di valutare bene il ruolo dell’Anac che non va depotenziato”. I risultati non sono stati quelli che ci si aspettava ma “possiamo valorizzare Anac anche in prospettiva di prevenzione – ha affermato il premier -, in modo di avere una sorta di certificazione anticipata degli amministratori pubblici per poter procedere alle gare più speditamente”.
Il reddito di cittadinanza non sarà poi “una misura assistenziale” e dai banchi dell’opposizione sono arrivate, anche in questo caso, dure repliche. In particolare Graziano Delrio del Pd ha ricordato che prima di ogni cosa è necessario più lavoro: “il lavoro, il lavoro, il lavoro”, scandito ben tre volte.
In definitiva, imposte, manovra, pensioni e cittadinanza comporterebbero un conto di 25 miliardi di euro: circa 5 miliardi per rendere più flessibile la legge Fornero sulle pensioni; 2 per rendere più strutturati i centri per l’impiego anche in funzione del reddito di cittadinanza; 12,4 per cercare di evitare l’aumento dell’Iva. E quello che manca per il rifinanziamento di sanità, missione di pace ed emergenza sisma. Senza contare la cosiddetta “flax tax” il cui valore sfiorerebbe i quaranta miliardi.
Si preannuncia quindi una manovra finanziaria di proporzioni non indifferenti la cui sostenibilità non sarà semplice da verificare e soprattutto da giustificare anche di fronte alle istituzioni europee, che non accorderanno una larga flessibilità di bilancio e soprattutto reclamano, vita natural durante, la risoluzione del debito pubblico. Rimangono da rispettare Patto di Stabilità e Fiscal compact, e anche se le forze politiche al governo tendono a far risalire la contrattazione del rapporto deficit-Pil al 3%, già dal prossimo anno, non sarà semplice ottenere il beneplacito di Bruxelles e Berlino.
“Il debito oggi è pienamente sostenibile però lo ridurremo con la crescita – ha affermato Giuseppe Conte di fronte all’Aula di Palazzo Madama – non con le misure di austerità che hanno contribuito a farlo lievitare”. Una possibile mossa pensata dal nuovo esecutivo potrebbe essere non conteggiare nel deficit le spese per investimenti pubblici infrastrutturali. Anche il nuovo ministro dell’Economia Giovanni Tria, sottolinea il sostanziale “effetto positivo” degli investimenti “con effetti virtuosi sulla crescita di lungo termine”, investimenti che, secondo Tria, potrebbero essere attuati e finanziati “in deficit senza creare un problema di sostenibilità dei debiti pubblici attraverso un finanziamento monetario palesemente condizionato a livello europeo”, ha dichiarato Tria in un articolo sulla rivista “Formiche”. Nella pratica, però, le riflessioni accademiche dovranno confrontarsi con i compiti a casa e, secondo gli accordi presi con l’Ue, già dall’anno prossimo l’Italia dovrebbe far scendere il rapporto tra deficit e Pil allo 0.8%.
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