14 luglio 1948, il giorno che decise i destini d’Italia

Il 14 luglio è ricordato per la presa della Bastiglia; l’inizio della Rivoluzione Francese che cambiò gli scenari mondiali influendo pesantemente sulle epoche successive. Anche in Italia il 14 luglio ha cambiato il destino della Nazione, collocandosi come il giorno più importante dell’anno che, nel suo complesso, come ho già scritto su queste stesse pagine, è stato il più importante per storia d’Italia decidendone il destino; più del 1946 in cui il primo referendum popolare, scelse la Repubblica.

Il clima del Paese nel 1948, non era dei più tranquilli: il partito comunista veniva dalla sconfitta alle elezioni del 18 aprile che avevano decretato il trionfo della Democrazia Cristiana e, in molti, già parlavano di rivoluzione per prendere il potere. Gli arsenali, che erano in gran parte quelli usati anche dopo il 25 aprile dalle formazioni partigiane (presso la Breda di Milano furono rinvenute oltre 40 casse di armi), erano a disposizione e si aspettava un segnale. Dall’altro lato le forze dell’ordine sotto il fermo comando del Ministro dell’Interno Scelba, erano pronte a reagire così come era pronta alla mobilitazione la CGIL di Giuseppe Di Vittorio, di fatto sindacato unico.

La scintilla scattò verso le 11.30 del mattino del 14 luglio. Uno studente di origine abruzzese, Antonio Pallante, che, per il lavoro del padre, viveva in Sicilia, dopo avere affrontato il viaggio da Palermo a Roma e essersi procurato una pistola, sparava tre colpi a Palmiro Togliatti, segretario del PCI, ferendolo gravemente. Il leader comunista era in pericolo di vita e le masse si mobilitarono davanti a un attentato subito etichettato fascista imputato al governo.

Appena la notizia si sparse, tutti i lavoratori fermarono la loro attività in uno sciopero spontaneo. Manifestazioni spontanee si registrarono in tutta Italia, controllate dalla Polizia. Per i comunisti si trattava di un attentato ordito o comunque avallato dal Governo, le fabbriche chiusero, i lavoratori scesero in piazza, comparvero le armi. Gravi disordini portarono alla morte di 16 tra carabinieri e poliziotti e 7 civili, oltre a 200 feriti circa, numerosi arresti e l’Italia si trovò sull’orlo della guerra civile. Genova e Abbadia San Salvatore i luoghi dove la tensione raggiunse i massimi livelli. L’Unità, nella sua edizione straordinaria chiedeva le “Dimissioni del governo della discordia e della fame, del governo della guerra civile”. Una posizione attendista, che anche a molti dirigenti della Svolta di Salerno, probabilmente non era gradita; ma si aspettava un segnale.

Poi tutto si spense lentamente e la situazione pian piano tornò alla calma. Non fu la vittoria di Gino Bartali al Tour de France che, nella tappa corsa il giorno dopo, si impose sulle Alpi, a scongiurare la guerra civile. L’impresa di Bartali sicuramente distrasse l’attenzione di molti, ma non poteva essere sufficiente. Furono invece la ferma reazione del governo al telegramma con cui Stalin reagì all’attentato. Non conteneva, come in molti si aspettavano e volevano, l’ordine di agire e scatenare finalmente la rivoluzione, ma un duro schiaffo ai leader comunisti che, nelle parole di Stalin non erano stati in grado di difendere il compagno Togliatti dall’attentato. Un brutto colpo che si unì alle parole del Migliore. “Non perdete la calma” e ciò nonostante la piazza bruciasse. A Torino gli operai avevano sequestrato nel suo ufficio l’amministratore delegato della FIAT Vittorio Valletta.

Il PCI era stato fermato da Mosca nella sua azione e perdere probabilmente l’ultima occasione per quella rivoluzione che poteva cambiare i destini non solo d’Italia ma anche dell’Europa Occidentale, dove avrebbe forse trovato collocazione un’Italia nel blocco comunista.

Pallante aveva agito da solo. Per il giovane idealista, Togliatti, con le sue posizione ortodosse e la vicinanza al Cremlino, rappresentava un grave pericolo per l’Italia. Fortemente coinvolto nel dibattito politico, Pallante fin dal momento del suo arresto, subito dopo l’attentato, dichiarò che aveva agito per colpire non l’uomo, bensì il rappresentante di una potenza politica straniera che impediva la ricostruzione della Patria. Il processo, lo vide condannato a una pena di 13 anni e otto mesi di reclusione, ridotta in appello a nove e, in Cassazione a sei, riconoscendo al suo gesto un “particolare valore morale e sociale.” Mai si parlò di complici, complotti, mandanti o altre trame. Era stato un gesto individuale. La difesa, non a torto, venne basata sulla legittima difesa della nazione da parte di Pallante oltre sulla circostanza che, all’esito della convalescenza, le ferite non risultarono gravi.

Togliatti sopravvisse, operato al Policlinico Gemelli da Pietro Valdoni, uno dei maggiori chirurghi dell’epoca; Pallante le cronache lo danno pensionato a Palermo. Chi invece non sopravvisse agli eventi, e questo aspetto è molto sottostimato e poco valutato, fu l’unità sindacale.

La CGIL unita, fondata nel 1944 dove partecipavano uniti PCI, DC e PSI, si dimostrò incapace a gestire la situazione e le ali cattoliche e socialiste si staccarono, formando la CISL e la UIL. Immaginare cosa sarebbe potuto accadere con un sindacato unico, forte e coeso, negli anni successivi, fino agli anni di Piombo, rende idea della portata dell’attentato a Togliatti che portò, tra l’altro, alla possibilità di beneficiare del Piano Marshall e, successivamente l’adesione alle nascenti istituzioni europee.

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