Gibuti, zona franca d’Africa

Gibuti ha da pochi giorni inaugurato quella che dovrebbe diventare la più grande zona franca del continente africano. Il Paese conta trarre pieno profitto della sua posizione strategica alle porte del Mar Rosso e arrivare così a far crescere il suo Pil dell’11%.

Un “progetto pilota”. E’ con queste parole che il Presidente di Gibuti, Ismael Omar Guellah, ha decantato i meriti della più grande zona franca del continente africano durante la cerimonia di inaugurazione avvenuta lo scorso 5 Luglio nella capitale Gibuti-città. Il Paese, situato lungo una delle vie marittime più frequentate al mondo –  tra l’Oceano Indiano e il Canale di Suez – , aveva anche inaugurato nel 2017 tre nuovi porti e una linea ferroviaria che lo collegava all’Etiopia, nel quadro del suo progetto finalizzato a farlo diventare la piattaforma commerciale della Regione. Presente all’inaugurazione della zona franca, il Presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed “Farmajo” ha parlato di “vera vittoria per l’Africa orientale”. Il Primo Ministro etiope, Abiy Ahmed, il Presidente del Ruanda Paul Kagame e il Presidente sudanese Omar el-Bechir si sono uniti a queste dichiarazioni.

LA zona franca, collegata ai principali porti di Gibuti, è destinata a diversificare l’economia del Paese, creare posti di lavoro e attirare investimenti, permettendo alle compagnie straniere di essere esonerate dalla tassazione e beneficiare di un sostegno logistico di qualità. La prima fase di questo progetto comprende una zona di 240 ettari, che dovrebbe arrivare da qui a dieci anni a 4800 ettari per una spesa totale in opere pari a 3 miliardi di euro. Questa zona franca mira a permettere alle società straniere di installare delle industrie di trasformazione, per aggiungere così un plus-valore ai prodotti piuttosto che semplicemente fermarsi all’import/export delle materie prime. “Il volume di prodotti che arrivano in Africa orientale non fa che aumentare. Ogni volta che un prodotto lascia il continente senza essere stato trasformato, è un’opportunità mancata per l’Africa”, afferma Aboubaker Omar Hadi, Presidente dell’Autorità dei porti e zone franche di Djibuti (DPFZA).

Una lunga fila di bandiere di Gibuti e cinesi sventola lungo il muro di cinta della zona a testimonianza degli stretti legami che intercorrono tra il minuscolo Stato del Corno d’Africa e il gigante asiatico, i cui prestiti hanno permesso di finanziare i recenti progetti di infrastrutture. Gibuti è anche situata lungo la rotta marittima che permetterà alla Cina di raggiungere l’Africa e l’Europa attraverso il Mar della Cina e l’Oceano Indiano, nel quadro del progetto di nuove vie della Seta, noto con il nome “One belt, one road”. Questa importante iniziativa ha visto Pechino imprestare ingenti somme a più Paesi in via di sviluppo, sia in Africa che in Asia, per far si che migliorassero le loro infrastrutture e rendessero più agevoli i commerci. Moltissimi soldi erogati,i tanto che gli esperti hanno messo in guardia la Cina sulla effettiva capacità di questi Stati nel rimborsare i loro debiti al Paese.

Il Fondo Monetario Internazionale ha suonato il campanello d’allarme concernente l’innalzamento del debito pubblico di Gibuti, passato dal 50% del Pil nel 2014 all’85% nel 2017. Ciò nonostante, per le autorità di GIbuti il solo mezzo per assicurare la crescita del Paese e far uscire il suo popolo dalla miseria è incrementare notevolmente il numero di  nuove infrastrutture. Il Presidente Guelleh afferma che la zona franca, già nella sua fase iniziale, potrebbe permettere al Pil del Paese di crescere dell’11%.

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