Erdogan: tutti i contratti in Lira turca
Dallo scorso 13 settembre, con un decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale a firma del presidente Recep Tayyip Erdogan, viene stabilito un termine di 30 giorni per convertire in lire tutti i contratti economici stipulati in valuta estera in Turchia, compresi quelli di acquisto, vendita e locazione di beni mobili e immobili in Turchia, compreso il leasing dei veicoli che ora dovranno essere stipulati esclusivamente in lire turche. Una grande incertezza domina il mercato dell’import-export da e per la Turchia a fronte dell’imposizione dell’uso della lira turca in tutte le transazioni commerciali internazionali. Pare che la decisione di Erdogan si riferisca esclusivamente ai contratti conclusi in territorio turco tra due o più operatori locali, che prima potevano essere liberamente conclusi in valuta estera, escludendo le attività di import nei confronti di Paesi terzi. Vengono vietati anche i contratti indicizzati a valute estere.
Il provvedimento è tutt’altro che chiaro e rischia di gettare nel caos imprese e utenti, suscitando molte perplessità fra gli operatori. Per quanto riguarda le imprese italiane presenti in Turchia vi sono diverse angolature, chi esporta aumenta di molto la sua competitività giovandosi ovviamente della svalutazione (ha costi in lire turche e incassi in dollari o in euro), come nel caso di Candy che ha impiantato da pochi mesi un nuovo stabilimento da 15 milioni di euro. Interlocutoria la posizione di chi ha acceso operazioni a termine per mettersi al riparo dal rischio di oscillazioni del cambio. Se la svalutazione continua, quando i fornitori acquistano le materie prime e le pagano in dollari si trovano a sostenere costi più alti aumentando i listini in lire turche.
La decisione ha affossato definitivamente la reputazione della Turchia e del governo Erdogan in campo economico, ribaltando qualunque concetto in materia il Presidente turco ritiene che l’inflazione galoppante, oramai giunta al 20%, sia causata dai tassi di interesse rialzati dalla Banca Centrale, e non viceversa come l’ortodossia monetaria insegna. Intanto la lira turca continua a perdere terreno. In sole due settimane, il rapporto lira turca-dollaro è passato da 6,80 dollari a 6,16 con una svalutazione che si avvicina al 10%. La moneta locale ha perso il 40% sul dollaro da inizio anno obbligando la Banca Centrale Turca a rialzare i tassi dal 17,75% al 24% e scoraggiare l’uso di dollari ed euro, dichiarando: “I recenti sviluppi relativi all’outlook dell’inflazione mettono in luce significativi rischi per la stabilità dei prezzi. L’aumento dei prezzi ha mostrato un andamento generalizzato in tutti i sub-settori, riflettendo i movimenti nei tassi di cambio. Il deterioramento dell’andamento dei prezzi continua a porre rischi al rialzo per l’outlook dell’inflazione, nonostante le condizioni più deboli della domanda interna. Conseguentemente, il consiglio direttivo ha deciso di implementare una forte stretta monetaria per sostenere la stabilità dei prezzi”.
Importanti anche i contraccolpi sullo stesso bilancio statale, molti contratti pubblici, compresi gli appalti per la costruzione e gestione delle autostrade, sono in dollari o in euro. L’uso di queste valute t nel commercio locale è pratica comune, gli stessi cittadini detengono almeno metà dei propri depositi bancari in valuta estera per evitare di farseli erodere dall’inflazione. Circa il 70% dei contratti di affitto nei centri commerciali sono in valuta estera, un altro punto lasciato in sospeso nel provvedimento è il tasso di cambio con cui dovrebbe essere effettuata la conversione. L’effetto diretto sul mercato interno del crollo della lira è ancora comunque tutto da valutare, perché gli ultimi dati disponibili si riferiscono al mese di luglio, prima dell’ultima crisi. E già allora, comunque, gli acquisti turchi dall’intera Europa si sono ridotti del 9,2%, il peggior risultato tra tutti i mercati di sbocco extra-Ue.
Senza trovare freni al suo egocentrismo, il Sultano si è autonominato numero uno del fondo sovrano, un veicolo finanziario da 200 miliardi di dollari creato da Ankara subito dopo il fallito golpe dell’estate 2016. Il provvedimento reca quattro firme dello stesso Erdogan, scatenando vasta ilarità sui social. Mentre il presidente accentra tutto il potere, le importazioni dalla UE sono crollate del 9,2%, avvertendo i morsi della crisi, la Turchia rappresenta al momento il peggior mercato extra-UE per i prodotti europei.
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