Io sono Azzeccagarbugli, io sono un avvocato

Mi si perdoni se, per una volta parlo della mia professione, ma ritengo sia necessario fare qualche precisazione, sfatare alcuni luoghi comuni e rendere giustizia a un nostro simbolo.

Usiamo le parole con cui Manzoni rese famoso il filosofo Carneade per cercare di capire chi fosse il personaggio che, nei Promessi Sposi, protagonista di un intero importante capitolo, torna quasi per errore sulla scena. Una figura che è stata recentemente scomodata dal ministro della Giustizia Bonafede, dimenticato di far parte della categoria. Azzeccagarbugli: chi era costui?

Il ministro, parlando dell’idea di sospendere il decorso della prescrizione facendola intendere quale garanzia di galera per i corrotti, definì gli avvocati degli azzeccagarbugli, impegnati a farla fare franca a clienti furbetti; ergo colpevoli. Il ministro ha ribadito la presunzione di colpevolezza, slogan del suo partito ma che, purtroppo per lui, è l’esatto contrario dell’articolo 27 della Costituzione e di alcuni principi delle Carte dei diritti umani. Prescindendo però dalla vicenda, è stata tirata in ballo un’intera categoria in maniera non proprio corretta né degna di un ministro.

La professione di avvocato, è percepita da molti (ho paura a scrivere dalla maggioranza ma temo sia vero) in un’accezione negativa. L’avvocato è lo squalo che vive delle disgrazie altrui; colui che fa durare a lungo le cause per lucrare pingui onorari; un nemico da evitare associato a eventi negativi. Film, telefilm e TV spazzatura non hanno aiutato a rendere giustizia alla nostra categoria, danneggiata anche da una normativa svilente di quella che fu la professione di Cicerone.  Ma la nostra Costituzione prevede il diritto di accedere alla giustizia sancito all’art. 24 che continua stabilendo che “La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo”. E la difesa, rappresentata da un avvocato (se ne facciano una ragione i giustizialisti), serve ad evitare abusi, soprusi, processi di piazza, esecuzioni sommarie, ma anche errori. Non dimentichiamo infatti che ogni sentenza di assoluzione è un errore giudiziario e, in tal senso, il doppio grado di giudizio e un controllo di legittimità (la Cassazione non è il terzo grado), sono garanzie tipiche di una democrazia.

Un avvocato è un tecnico, non deve difendere, a spada tratta e ad ogni costo, il proprio cliente facendone proprie le ragioni; è un tecnico, indispensabile per non essere schiacciati in un meccanismo che non funziona benissimo e spesso non è semplice da comprendere anche da parte degli addetti ai lavori: ma sarebbe un discorso lungo da non affrontare con il semplicismo del nostro Ministro.

Azzeccagarbugli in tutto ciò? Manzoni aveva davvero voluto darne un’immagine negativa? Colui che usa ogni mezzo per trarre d’impiccio i clienti: fossero anche colpevoli!

Non osi un avvocato difenderli. Un po’ come colui che oggi difende stupratori e chi uccide una donna: sono talmente colpevoli che secondo alcuni non hanno diritto ad avere un difensore. Peccato però che una persona sia colpevole solo dopo un processo: possibilmente un equo processo.

Ma Azzeccagarbugli non è stato compreso; volerne fare uno stereotipo negativo, un don Abbondio con la toga, non è riuscito al Manzoni, accusato di aver dato dare al bistrattato legale l’immagine di difensore dei forti contro i deboli.

I più, infatti, si fermano alla parte del romanzo in cui Azzeccagarbugli, prima di rifiutare l’incarico davanti al nome di Don Rodrigo, aveva detto a Renzo che il compito dell’avvocato è imbrogliare le verità raccontate dal cliente. Poco prima lo aveva peraltro avvertito che i clienti “in vece di raccontar il fatto” vogliono interrogare, perché si sono già fatti i loro disegni in testa. E in questo sembra percorrere i tempi e prevedere i clienti che noi incontriamo oggi, che si informano su Google o vedendo Forum.

Ma al lettore distratto, sfuggono due momenti del racconto che impongono di rileggere la figura di Azzeccagarbugli: il primo è la restituzione a Renzo dei quattro capponi che Agnese gli aveva detto di portare, perché  non si va da quei signori a mani vuote (fossero così i clienti di oggi). Il secondo è nel capitolo in cui Fra Cristoforo ritrova l’avvocato alla tavola di Don Rodrigo.

Cosa se ne deduce? Che Don Rodrigo era già cliente del legale o che essi fossero quantomeno conoscenti. Poteva quindi Azzeccagarbugli accettare la causa? Semplicemente no e, nel rispetto delle più comuni regole di deontologia e professionalità, restituì la forse magra ma dovuta parcella.

Un esempio di professionalità che noi avvocati non dobbiamo dimenticare bensì seguire per sentirsi onorati e fieri quando saremo tacciati di chi, non conoscendo “l’historia” ci definirà a sproposito Azzeccagarbugli. Je suis orgogliosamente Azzeccagarbugli.

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