Siria, Bashar al-Assad di nuovo in auge

Inviso dagli occidentali, combattuto dalle monarchie del Golfo, il regime del presidente Bashar al-Assad, che ha ripreso il controllo della maggior parte della Siria, sembra oggi essere corteggiato da molti nella regione. Una strategica inversione di marcia dei paesi arabi.

Dopo i successi militari che gli hanno permesso di riprendere il controllo di una gran parte del territorio siriano, il regime di Damasco starebbe per incassare una grande vittoria diplomatica. Messo al bando dalla comunità internazionale da parte delle potenze occidentali, sospettato di aver utilizzato armi chimiche, isolato dalle potenze sunnite della regione, il presidente al-Assad è diventato di nuovo frequentabile, tanto dicono i molteplici segnali di apertura registrati nelle ultime settimane in direzione di Damasco. E sempre più i media della regione affermano, anche se  ancora sotto forma di rumors, che la Siria potrebbe essere presto reintegrata nella Lega Araba, dalla quale era stata sospesa nel Novembre del 2011 come segno di protesta dei suoi membri nei confronti della repressione della rivolta contro il regime.

Fonti diplomatiche locali parlavano della possibile partecipazione della Siria  a un summit economico della Lega organizzato per 19 e 20 Gennaio in Libano. Un precedente che avrebbe visto dei dirigenti siriani riprendere contatto con i loro omologhi a tre mesi dalla riunione annuale dell’organizzazione, che si terrà a fine Marzo a Tunisi. Caso o coincidenza, la scorsa settimana una compagnia aerea privata siriana ha effettuato un volo commerciale con la Tunisia, non accadeva dal 2011. Ma al vertice per lo Sviluppo Economico e Sociale tenutosi nella capitale libanese ha visto il boicottaggio di quasi tutti i capi di stato arabi. Damasco ha rinunciato a sua volta e si presume che dietro le quinte abbiano prevalso le pressioni dell’Amministrazione Trump volte ad isolare Damasco alleata dell’Iran.

Ciò non toglie il fatto che l’annuncio del 27 Dicembre fatto a Damasco per la riapertura dell’Ambasciata degli  Emirati Arabi Uniti, tra i padrini con l’Arabia Saudita e il Qatar degli oppositori siriani, ha confermato il ritorno in auge del presidente siriano. Un passo inconcepibile senza l’avvallo di Ryiad e del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), che Anwar Gargash, Ministro di Stato per gli Affari Esteri degli Emirati, ha giustificato sul suo account Twitter  con le seguenti parole:” di fronte all’espansionismo regionale dell’Iran e della Turchia, è diventato ancor più necessario impersonare un ruolo arabo in Siria”. Da parte sua anche il Barhein si è detto intenzionato a riaprire la sua ambasciata nella capitale siriana.

Lo scorso 31 Dicembre, il viceministro degli Affari Esteri del Kuwait, Khaled Al-Jarallah, ha dichiarato aspettarsi ad un “disgelo delle relazioni tra la Siria e i paesi arabi del Golfo già nei prossimi giorni”, secondo i propositi riportati dall’agenzia stampa ufficiale Kuna. Ha precisato però che gli Stati del Golfo rimanevano fermi nell’impegno preso con la Lega araba e avrebbero riaperto le loro ambasciate a Damasco solo dopo l’autorizzazione dell’organizzazione. Nel corso dello stesso mese, il presidente sudanese Omar el-Bechir, accusato dalla Corte Penale Internazionale di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio, si è recato a Damasco dove si è incontrato con il suo omologo siriano, anche qui dopo l’autorizzazione saudita dicono gli esperti. Una novità dopo il 2011 per un dirigente di un paese membro della Lega araba, ovviamente largamente mediatizzata da Damasco.

“Non è una sorpresa, queste decisioni s’iscrivono in un contesto costellato di eventi premonitori, tra i quali il più importante rimane il successo del regime di Bashar nel riprendere il controllo di quasi il 90% del territorio siriano, afferma in un’intervista a France 24 Bachir Abdel-Fattah, esperto di questioni mediorientali e ricercatore del CEPS (Centro di Studi Politici e Strategici) d’Al-Ahram, con base in Egitto. Sono questi successi militari, ottenuti con l’appoggio decisivo della Russia e dell’Iran, ad aver scompaginato le carte in tavola sul terreno e nella regione”. Per Bachir Abdel-Fattah, il ritiro annunciato delle truppe americane dalla Siria, deciso dal presidente Donald Trump, è tra i fattori che hanno contribuito a ridistribuire le carte. Un annuncio a sorpresa del quale ha beneficiato il regime siriano, perché ha spinto le forze curde del Nord a rivolgersi a Bashar al-Assad, per timore di un’offensiva turca a Manbij.

Esangue dal lato economico, la Siria ha bisogno di fondi per ricostruirsi dopo sette anni di guerra. Secondo dati delle Nazioni Unite, il costo delle distruzioni ammonta a 350 miliardi di euro. Ma, in modo pragmatico, il regime di Damasco sa che non può contare solo sull’Iran e sulla Russia, sue indefesse alleate, entrambe sottoposte a sanzioni economiche, e che non beneficiano delle stesse agevolazioni finanziarie dei Paesi del Golfo. Su Twitter, Donald Trump ha recentemente affermato con il suo solito ton sopra le righe, che l’Arabia Saudita “aveva accettato di spendere il denaro necessario ad aiutare la Siria nella ricostruzione, al posto degli Stati Uniti”. Consolidata economicamente e militarmente dai suoi due angeli custodi russi e iraniani, Bashar al-Assad non rischia nulla, diplomaticamente, nell’accettare la mano tesa da parte di coloro che lo volevano abbattere. Un cambio di rotta che fa uscire di senno gli oppositori siriani.

Per il politologo Mohammad al-Hammadi, residente a Dubai, questo pragmatismo è presente sui due fronti dello scacchiere regionale: “Lo sforzo internazionale non è riuscito a strappare una soluzione in Siria, e gli Arabi hanno fallito nell’imporre le loro condizioni”. Per lui, la decisione araba di mettere al bando la Siria non ha avuto nessun risultato tangibile: “è un fallimento e bisogna riconoscerlo, è dunque necessario cambiare politica, anche se Bashar al-Assad rimane un nodo importante della crisi”. C’è poi una causa suprema  che motiva le potenze arabe: l’Iran, grande rivale regionale sciita. “Il dossier siriano deve tornare tra le mani degli Arabi, perché la crisi profitta solo agli iraniani che sono seduti al tavolo dei negoziati con russi e turchi, per risolvere un problema che riguarda un membro della Lega araba”.

Le conclusioni di al-Hammadi sono molto personali, ma danno una chiave di lettura che, se non condivisibile da tutti, può dare spunto per riflettere. Dice il politologo che “gli arabi hanno perso molto tagliando i ponti con i siriani, parlo del paese, e non del regime o di Bashar al-Assad. Il boicottaggio arabo ha avuto delle conseguenze dirette sulla popolazione, bisogna quindi che la Lega Araba prenda una decisione chiara, affinché la Siria torni nel girone arabo”.

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