NATO e missili intermedi

Gli Stati Uniti hanno dunque ufficialmente annunciato la loro uscita dal Trattato sui Missili intermedi del 1986. Ciò significa che l’America riprende la libertà di produrli, testarli ed, eventualmente, installarli in Europa. La ragione data è che la Russia ha violato l’accordo, sviluppando missili Novator, di portata intermedia. La Russia lo nega, affermando che i Novator hanno una capacità di 490 Km, quindi inferiore ai 500 che definiscono un missile intermedio.  Anche se questo fosse vero, sarebbe  una questione di lana caprina. La NATO, nel suo insieme, ha infatti appoggiato la decisione americana, segno che le mosse strategiche di Putin preoccupano seriamente i Paesi dell’Alleanza.

Vediamo di capire: i missili intermedi sono una categoria a metà tra quelli intercontinentali e quelli c.d. ”di teatro”. I primi servono a Stati Uniti e Russia per colpirsi reciprocamente, i secondi per arrestare avanzata di blindati in un teatro di guerra. Quelli intermedi, con una capacità tra i 500 e i 5000 Km, sono pensati in funzione del teatro europeo. Se la Russia ne disponesse, potrebbe colpire o minacciare qualsiasi città europea dell’Alleanza e gli Stati Uniti sarebbero messi di fronte alla difficile scelta se usare propri missili intercontinentali, esponendosi alla ritorsione russa, o abbandonare l’Europa al suo destino. È il c.d. “decoupling”, che da sempre ossessiona gli alleati europei.

La questione non ci riporta indietro agli anni 1978-79, in piena Guerra Fredda, quando un’Unione Sovietica in crescente difficoltà tentò una mossa azzardata, spiegando in Europa orientale i missili intermedi SS20, capaci di colpire qualsiasi parte dell’Europa Occidentale; USA e NATO reagirono correttamente, con lo spiegamento in Europa (Italia, Belgio e Germania) de loro Pershing. Ricordo bene le tesissime ore di negoziato a Bruxelles: una parte dell’opinione pubblica, non solo i comunisti ma un’ala pacifista cattolica (e lo stesso Andreotti), si opponeva tenacemente e chiassosamente alla decisione atlantica. Sulla questione cadde il Governo del compromesso storico, venne al governo Cossiga che, con l’appoggio di Craxi, rese possibile la decisione della NATO. Fu, probabilmente, la svolta che mise in crisi la strategia aggressiva dell’URSS e, sul medio termine, portò agli accordi di disarmo degli anni Ottanta. Ora la storia pare ripetersi. Le condizioni, ovviamente, sono diverse. La componente ideologica della politica sovietica è scomparsa, la NATO ha esteso i suoi confini a comprendere ex-membri del Patto di Varsavia e persino ex-Repubbliche sovietiche. Ma ciò non diminuisce la pericolosità della mossa russa. Che va vista sullo sfondo dell’indebolimento dell’Alleanza provocato inizialmente dalla sconsideratezza trumpiana, e delle illusioni di appeasement verso Putin coltivate dal Presidente americano nella sua campagna elettorale e nei primi mesi del suo mandato.

Dall’altro lato, va considerato che l’appartenenza alla NATO di Paesi vicini alla Russia e direttamente esposti alla sua  rinnovata aggressività, come Polonia, Romania e Paesi baltici, rende certamente più vivo l’allarme per il pericolo russo.

Oggi Trump ha reagito nel senso corretto, probabilmente spinto dal consenso generale dei suoi militari, delle agenzia di intelligence e della maggioranza repubblicana, e gli Stati Uniti sono tornati a fornire l’indispensabile leadership nell’Alleanza. Ma non basta: ora, come allora, i Paesi europei devono saper reagire correttamente, e spero che lo capiscano i nostri governanti, così inclini al pasticcio in politica estera.

Chiariamolo bene: non si tratta di ricreare un clima da guerra fredda o di spingere la Russia ai margini del contesto internazionale. SI tratta di giudicare realisticamente le intenzioni di Putin e reagire razionalmente. Sono convinto che Putin non vuole la guerra (non lo volevano neppure i peggiori gerarchi sovietici). Vuole però restituire a Mosca una situazione di dominante influenza e se possibile controllo in Europa e condizionarne la politica. Un aspetto di questa linea sta nel tentativo di indebolire l’UE, purtroppo scelleratamente condiviso da Trump e da varie forze europee. L’altro consiste nel tentativo di rendere l’intera Europa centrale e occidentale sottomessa alla superiorità strategica di Mosca. La sola risposta possibile è mostrargli che, oggi come negli anni Settanta, si tratta di un tentativo inutile.

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