Brexit, lo psicodramma continua

La scorsa settimana, il tormentoso psicodramma della Brexit ha continuato a svilupparsi sulla scena della Camera dei Comuni britannica. Pensavamo che questa volta si sarebbe giunti al capolinea, ma non è stato così. La Camera ha preso una serie di decisioni scoordinate tra loro: martedì ha nuovamente respinto l’accordo raggiunto tra GB e UE, già bocciato in gennaio; mercoledì però ha respinto la possibilità di un’uscita dall’Unione senza accordo; giovedì ha votato a favore di un rinvio dell’uscita, prevista per il 29 di questo mese. Accessoriamente, ha bocciato a grandissima maggioranza la possibilità di un secondo referendum (ma i laburisti non hanno partecipato al voto, per cui i numeri sono sfalsati) e, con una maggioranza di soli 2 voti, ha respinto la proposta di affidare al Parlamento stesso, sottraendola quindi al Governo, l’indicazione degli obiettivi negoziali.

Non è facile orientarsi nei labirinti delle tattiche parlamentari anglosassoni, però due cose sono chiare: l’accordo firmato dalla May con l’UE non va bene; ma neppure un non accordo va bene. Il rinvio della scadenza del 29 marzo è dunque logico, anche se  non si indica a che scopo, visto che non pare sia in vista una riapertura del negoziato con Bruxelles. Nell’insieme, condivido la valutazione del “The Guardian”: tutto è incerto il Parlamento e i maggiori partiti sono gravemente divisi, la May ha  mostrato di non controllare né il suo partito né il suo stesso governo (i cui membri hanno votato in ordine sparso). Nella sostanza, tuttavia, potrebbe darsi che i voti della settimana aprano uno spiraglio al tentativo di forzare la mano agli “hardliners”: senza la possibilità di uscita senza accordo, la May può agitare lo spettro di un prolungamento indefinito dell’uscita, con la possibilità di una sua rimessa in questione.

Per questo, il Governo, incredibilmente, si prepara a sottoporre nuovamente l’accordo ai Comuni, probabilmente martedì prossimo. Lo farà, però, solo se vede una seria probabilità di vincere. Deve per questo convincere almeno settantacinque deputati a cambiare il loro voto (infatti, sta negoziando intensamente con i dieci membri del partito unionista dell’Irlanda del Nord, considerato chiave in questa vicenda, visto che il punto più contenzioso resta quello del confine commerciale tra le due Irlanda.

Dunque, o l’accordo sarà  finalmente approvato – e la May proporrà all’UE soltanto un breve rinvio tecnico alla scadenza del 29 marzo – o no; e allora la richiesta sarà di un rinvio più lungo, almeno fino a fine giugno, il che tra l’altro porterebbe alla conseguenza che gli inglesi dovrebbero partecipare alle elezioni europee di maggio. In questa seconda ipotesi, resta da vedere se i 27 membri dell’Unione accetteranno un rinvio, dando chiara indicazione del suo scopo. La decisione dovrà essere presa nel Consiglio Europeo di giovedì ed essere unanime. Non è dunque scontata. Se non ci fosse, tornerebbe valida la scadenza del 29 marzo, ma – contro il voto del Parlamento britannico – con un’uscita senza accordo. Se la volontà di non chiudere le porte e assumersi la responsabilità della rottura prevarrà, e il rinvio sarà accordato, si aprirà uno scenario imprevedibile: un negoziato su nuove basi e con nuove idee? Forse. Un superamento delle divisioni interne britanniche? Anche. Niente di tutto questo e, alla fine, nuove elezioni e magari un nuovo referendum in GB? Nulla è da escludere.

Dal punto di vista europeo, credo sia giusto esprimere la speranza che questa vicenda, nata male e condotta peggio, giunga alfine alla sua conclusione, che credo sia la migliore: che l’uscita della Gran Bretagna da un’Unione che non ama si realizzi alla fine, ma in modo ordinato, che preservi diritti e interessi delle due parti e i rapporti tra di loro. Dopodiché, ciascuna delle due vada avanti per il suo cammino, l’Unione senza la remora del perpetuo disamore britannico.

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