USA, Russia e Venezuela

Le bravate di Trump, del Segretario di Stato e soprattutto del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Bolton nei giorni chiave del mancato sollevamento militare contro Maduro (come abbiamo scritto a suo tempo) hanno gravemente danneggiato la credibilità e il prestigio degli Stati Uniti. Un fallimento è un fallimento, tanto più grave se, come è apparso abbastanza chiaramente, gli Americani sono stati ingannati (e quindi di ridicolizzati) da quei generali venezuelani che a quanto pare avevano promesso (o avevano fatto credere di aver promesso) che avrebbero costretto Maduro ad andarsene, e invece nel momento chiave lo hanno appoggiato. E a peggiorare le cose c’è stata la dichiarazione di Bolton (un tipo al di sotto del livello di serietà) che Maduro aveva l’aereo pronto per rifugiarsi a Cuba ma è stato persuaso a rimanere da russi e cubani; con il che l’incredibile Bolton ha riconosciuto che i russi hanno una influenza decisiva a Caracas e che hanno facilmente giocato gli americani: Casa Bianca, CIA, Dipartimento di Stato. Un disastro!

Ora, da parte americana si è preferito abbassare il tono e rinunciare a vanterie, minacce e previsioni a breve termine. Trump, a guardare bene le cose, non ha molte opzioni disponibili per riparare la figuraccia; può recuperare la situazione, ma per mantenere la credibilità perduta dovrebbe fare due cose: prevedere un intervento militare (estremamente difficile) o imporre un embargo totale sugli acquisti di petrolio (cosa che, per ragioni proprie all’industria USA, non pare facile). Pare dunque che abbia scelto la strada di una trattativa diplomatica per persuadere Maduro ad accettare una transizione pacifica. In questo senso si è espressa la signora Bleier, Sottosegretario di Stato `per l’America Latina, in un’intervista di tono molto moderato a un quotidiano argentino. Resta da vedere se è una strada seria, capace di portare un risultato in tempi non biblici, o di un’altra manifestazione di ingenuo “waishful-thinking”.

Pare comunque da pensare che una soluzione pacifica richiede la collaborazione di Mosca, e Trump ne ha parlato al telefono con Putin, mentre il suo Segretario di Stato, Pompeo, ne ha parlato e ne riparlerà con il suo omologo russo, Lacrov. La questione è però: perché dovrebbe Putin, che ha finora giocato le sue carte con successo, rinunciare al suo investimento politico su Maduro, e aiutare Trump a uscire da una situazione perdente?  Il Venezuela non è un fatto a sé, è parte di una azione russa di lungo termine per mettere un piede solidamente in America Latina, contrastando l’influenza americana e quella, crescente, della Cina. E ciò a sua volta è parte di un gioco più ampio di influenza globale, nel quale Mosca sta cercando – e in parte riuscendo – di ristabilire la sua posizione mondiale di parità con gli Stati Uniti.

Ammesso che Putin accetti di aiutare Trump ad uscire dal labirinto venezuelano, quali contropartite chiederà altrove, in Medio Oriente e magari in Europa dell’Est? E quale sarà la condotta di un Presidente USA che ha abbandonato e tradito le linee tradizionali che avevano governato la politica estera americana dal dopoguerra in poi?

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