Il caso Huawei
È scoppiato in questi giorni un vero e proprio caso Huawei. Il gigante elettronico cinese ha sviluppato metodi e programmi molti avanzati, soprattutto per quanto riguarda il sistema 5G che rappresenta il futuro di Internet, ed era riuscito fino ad ora a farli accettare in buona parte del mondo occidentale.
L’ultimo esempio sta nella decisione preliminare presa dal Consiglio per la Sicurezza Nazionale britannico, sotto l’impulso della signora May, di adottare quel sistema in Gran Bretagna. La decisione, è stata contrastata da almeno cinque membri del governo di Londra e qualcuno ne ha dato notizia ad un giornalista del Daily Telegraph, che l’ha pubblicata con grande rilievo. L’attenzione si è concentrata all’inizio sull’autore della fuga di notizie. Una rapida inchiesta ha portato ad accusare l’allora Ministro della Difesa, Gavin Williamson, che è stato immediatamente dimesso dall’incarico.
Ma resta il problema di fondo: affidare a un’impresa cinese il controllo pratico della rete di comunicazioni britannica costituisce un rischio evidente, anche per la sicurezza militare, come hanno denunciato alcuni conservatori. Stupisce che la May, esponente di un partito ultra atlantico e filoamericano, non se ne renda conto; tanto più che sistemi alternativi esistono, sviluppati da Svezia e Finlandia. Gli Stati Uniti, come era da attendersi, hanno criticato la pre-decisione inglese, adombrando conseguenze sul piano della collaborazione militare e di sicurezza tra i due paesi (che va al di là di quella usuale nel quadro della NATO ed è vitale per il Regno Unito). È certo che Trump stesso solleverà il problema nel corso della sua prossima visita di stato a Londra. Un ennesimo pasticcio della May? È probabile che la decisione finale sia demandata al governo che succederà a quello attuale, ormai attaccato da tutte le parti e molto vicino a cadere. Intanto, l’Amministrazione americana è pesantemente intervenuta su Google, che ha pubblicamente rinunciato alla collaborazione con Huawei.
In materia di scienza e tecnologia avanzate non dovrebbero esserci limiti alla collaborazione internazionale. Ma il caso della Cina è diverso. Sostenere, come si fa attorno alla May, che Huawei è un’impresa privata, senza connessioni con il governo di Pechino, è puerile: chi non sa che in un regime come quello cinese, che mantiene un ferreo controllo sul Paese, un’impresa di alta tecnologia, con implicazioni di sicurezza, è vincolata al potere politico e deve obbedirne i condizionamenti?
Può darsi che la Cina non abbia disegni di espansione o controllo militare, almeno a breve termine, ma è sotto gli occhi di tutti che intende utilizzare il proprio potere economico e ora anche tecnologico per affermare la propria influenza e domani il proprio controllo su buona parte del mondo, cominciando dalle sue parti più deboli. Credo che i principali governi occidentali, almeno quelli che alla sovranità e indipendenza nazionale dicono di tenere tanto, dovrebbero tenerlo presente. La Cina è un grande paese, con il quale è giusto tenere rapporti di amicizia e collaborare dove è possibile. Ma consegnarle le chiavi della nostra sicurezza sarebbe un errore di cui prima o poi pagheremmo le conseguenze.
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