Un voto per la nostra Europa
“Abbracciatevi, moltitudini! / Questo bacio vada al mondo intero! / Fratelli, sopra il cielo stellato / deve abitare un padre affettuoso”. Sono i versi dell’Inno alla Gioia di Friedrich Shiller, poeta tedesco. Al testo si è aggiunta la musica di Ludwig van Beethoven che lo ha inserito nella sua Nona sinfonia.
Un classico, si potrebbe dire, che nel 1972 venne adottato, senza parole, come Inno ufficiale di quella che oggi è l’Unione Europea. Successivamente è stato inserito un testo in latino, come lingua neutra rispetto a quelle nazionali, nonché base di molte di esse. “È l’Europa ora unita e che unita rimanga, una nella diversità accresca la pace nel mondo.” Un messaggio forte che rimanda all’origine dell’Europa e del suo concetto; delle ragioni che ne portarono alla nascita.
Questo inno viene suonato nelle occasioni ufficiali, dopo gli inni nazionali. L’Europa, anche da questo si dovrebbe comprenderlo, non ha mai voluto soppiantare gli Stati Nazionali, di cui non ha mai negato l’individualità; chissà proprio se anche per questo è sempre stata poco capita.
Le radici dell’Europa Unita sono italiane: il Manifesto di Ventotene, di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, aveva come titolo originale “Per un’Europa libera e unita.” E non dimentichiamo che venne scritto nel 1941, in pieno conflitto mondiale da due oppositori del regime mentre si trovavano al confino.
Alcuni anni dopo, quando la seconda guerra mondiale era stata sostituita da quella fredda, Robert Schuman, all’epoca ministro degli esteri francese, in un suo discorso, emise la cosiddetta “Dichiarazione Schuman” che è considerato il primo atto ufficiale a fondamento dell’Unione. In questo documento si auspicava il superamento delle rivalità storiche tra Francia e Germania e, iniziando da una disciplina condivisa, non solo tra le due nazioni, sulle questioni del carbone e dell’acciaio, lo statista metteva le basi per la costituzione di un organismo sovranazionale cui ogni Stato potesse aderire per realizzare scopi ben più ambiziosi. “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.” Si legge nel discorso nel quale si avverte anche che “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.”
Schuman sembrava consapevole delle difficoltà e delle resistenze che l’Europa avrebbe trovato sul suo percorso verso un’unità globale, di cui quella monetaria sarebbe stata solo una parte. In questo cammino Schuman venne affiancato dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer e dall’Italiano Alcide de Gasperi. Possiamo aggiungere a loro anche Jean Monnet, che, già nel 1943 si collocava tra i padri dell’Europa quando sosteneva che “Non ci sarà pace in Europa se gli Stati verranno ricostituiti sulla base della sovranità nazionale […] gli Stati europei sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale. Le nazioni europee dovranno riunirsi in una federazione”. Un particolare che a qualcuno potrebbe sfuggire: i padri dell’Europa avevano vissuto guerra e dittature; tre statisti perseguitati che contribuirono a rifondare le loro nazioni. De Gasperi contribuì alla stesura della nostra Costituzione che, proprio come l’Europa, nacque come risposta ad un conflitto distruttivo e ad anni di dittature. Un qualcosa su cui riflettere.
Quella possibile federazione nacque ed è stata portata avanti. È l’Europa non solo dell’Euro, ma anche quella che, nel 2012, vinse il Nobel per la Pace. Un premio non certo simbolico, ma quanto il giusto riconoscimento per quanto fatto e quanto si poteva ancora fare. Oggi, però, di quell’Europa pare non resti niente, portata via dalla voglia di particolarismo e da campanilismi forse mai sopiti fin dal Medioevo. Brexit e sovranismo sono realtà con cui l’Europa deve combattere se vuole sopravvivere. Ma fino a quando verrà percepita come un pericolo, il cammino intrapreso dai padri fondatori troverà altri ostacoli che vanno ben oltre quelli presagiti da Schuman.
L’Europa sembra non sia stata capita, e comunque mai amata, dagli Europei. Sarebbe forse opportuno che, prima del voto odierno, oltre a riflettere sulle ragioni che ne determinarono la nascita, si pensasse anche a quel concetto di “Sogno Europeo” che è stato ben definito da Jeremy Rifkin. L’economista e sociologo americano, forse più lungimirante di molti pseudo politici nostrani, che con eccessivo ottimismo e fiducia nelle capacità di scelta dei cittadini europei, aveva auspicato anche lui il consolidarsi di una realtà che potesse sostituire quello che era il sogno americano. Peccato che il suo messaggio, come quello dei nostri padri fondatori, non è ascoltato.
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