Musica, specchio del tempo
Ogni epoca, ogni generazione, ed oggi anche ogni singolo anno, è rappresentato dalla musica che si ascolta e dai cantanti che maggiormente caratterizzano la scena. Non c’è bisogno di partire dal canto gregoriano; potremmo passare a Wagner e al romanticismo, ma le dimensioni giornalistiche, impediscono anche di soffermarsi addirittura su Beethoven e il classicismo, o sull’epoca in cui le voci femminili erano demandate ai Farinelli.
Trasferiamoci in epoche più recenti per ricordare come “soltanto” un secolo fa, iniziava la carriera di Louis Armstrong che, oltre ad essere ancora l’immagine del jazz, caratterizzò i “Roaring Twenties”, con ritmi incalzanti, che si muovevano anche a passo di charleston, cercando allegria in una reazione al primo dopoguerra. In Italia, accanto all’operetta, si alternavano i ritmi della musica di regime e, alle canzoni del Tabarin, il luogo in cui i viveur trascorrevano le notti. Una canzone su tutte, una storia che i giovani di allora avrebbero voluto vivere, Gastone di Ettore Petrolini. In quegli anni, si stava sviluppando lo swing in un contesto che già avvertiva la crisi del 1929 da cui poi venne travolto. I ritmi usati per il ballo erano probabilmente lo sfogo ad una quotidianità triste che offriva poche speranze per il futuro.
Da noi l’avanspettacolo offriva non solo musicali, e preparava una generazione di artisti che avrebbe caratterizzato il successivo mezzo secolo. Una lacrima di tristezza lo permeava nelle sue maschere che lo caratterizzavano. Ma forse anche come reazione ad anni in cui di regime e marce militari, le voci di Alberto Rabagliati e il sound di Natalino Otto, non erano soltanto attimi di spensieratezza, ma proprio ciò che la gioventù dissidente (e non solo) cercava un rifugio.
Dopoguerra e rock’n roll; ma prima, quando Elvis Presley era ancora un bambino le sale da ballo si muovevano ai ritmi di Glenn Miller, troppo presto scomparso, o di Benny Goodman, in quello che è troppo semplicisticamente definito Boogie. E mentre i giovani già si stavano preparando alla contestazione, la musica melodica la faceva da padrona. I primi festival di Sanremo, specchio dell’Italia nazionalpopolare che ancora sopravvive, videro le vittorie di Nilla Pizzi e Claudio Villa. I 1958 è l’anno di rottura con la vittoria di Domenico Modugno: Nel blu dipinto di blu. Ma fu un’eccezione, e il Mimmo nazionale, anche se si cercò d farlo rientrare tra gli “urlatori”, restò legato al classico stile melodico italiano e l’Italia continuò a rifugiarsi in rassicuranti melodie, negli anni del boom economico, mentre Chuck Berry, Bill Haley, e Buddy Holly già segnavano una nuova epoca. L’America si stava rimettendo in movimento con ritmi necessari per un coast to coast, mentre imperversava Claudio Villa.
Nel frattempo, in Francia, paese sempre a torto snobbato, nasceva una nuova generazione di chansonnier ed è grazie a Jacques Brel e, ancora di più, a Geore Brassen, se sono nati i cantautori e, con loro, la musica italiana dagli anni sessanta ad oggi ha nuovi impulsi. E’ doveroso ricordare che, prima ancora di Fabrizio De André, fu Nanni Svampa a tradurre e far conoscere in Italia il genere.
Di quegli anni, in ogni caso, il momento più significativo, forse mai appieno compreso in quanto usato più a fini di gossip e polemica da rotocalco (appunto) nazionalpopolare, fu il suicidio di Luigi Tenco. In epoca di musicarelli, è difficile comprendere il gesto di chi si sentiva portatore di perle ai porci.
Altrove troviamo la canzone più di ogni altra simbolo del decennio della libertà: “California dreaming” dei Mamas and Papas del 1965. Bob Dylan aveva già tracciato la strada con “Like a Rolling Stone” e “Blowing in the wind”, ma il sogno della California e la possibilità di attraversare un continente, era negli occhi di tutti coloro che non volevano ridurre la vita ad un posto in banca. Ce lo ricorda quel piccolo capolavoro dei Gufi dal titolo, appunto, “Io vado in banca”. I quattro protagonisti del primo esperimento di cabaret in Italia (Svampa, Magni, Brivio e Patruno), con il necessario garbo in un periodo di censura, riuscirono a ridicolizzare l’immagine del posto fisso ancora prima di Villaggio e Fantozzi. IN ogni caso, ai Beatles e ai Rolling Stones, si risponde con I Nomadi e Guccini, ma anche con Gigliola Cinquetti a Joan Baez e Janis Joplin. E’ un caso o un’eccezione che il Festival di saneremo 1968 venne vinto da Sergio Endrigo? L’anno dopo fu comunque la volta di “Zingara”.
Iniziano gli anni settanta e anche la musica segue la politica, verso gli anni di piombo e i cantanti non apertamente schierati (Lucio Battisti e Rino Gaetano i casi più eclatanti, ma anche De Gregori) vengono contestati e ostracizzati. Il messaggio era chiaro e nessuno è sfuggito ad un concerto degli Inti Illimani..
Nascono altri generi: alternative rock, con i Genesis, gli Yes e, in Italia, i quasi dimenticati Area e Demetrio Stratos. Esperimenti coraggiosi ma decisamente di nicchia, come altri gruppi che portano valide alternative: i New Trolls e le Orme. Ma le piazze chiedono altro e le risposte sono in Claudio Baglioni e Massimo Ranieri.
Gli anni successivi iniziano con la disco music e i Bee Gees, proseguono con l’edonismo reaganiano e Bruce Springsteen e, da noi, i Sanremo dell’epoca, con Toto Cutugno, Ricchi e Poveri, Al Bano e Romina. Risposta nostrana agli U2, alla New wave, ma anche agli Spandau Ballet e ai Dire Strais; quasi come negli anni precedenti con Massimo Ranieri, a fronte di Elton John e David Bowie. Altri luoghi, nessun paragone, ma solo dati di fatto. Però i Pink Floyd erano un’immagine degli anni 70, come i Queen, mentre in Italia spopolavano i Pooh.
Oggi? Difficile poter essere precisi e, tantomeno, esaustivi in quanto è di fatto impossibile anche solo potersi fare un’idea della musica del momento e dei cantanti o gruppi che vanno per la maggiore. Decisamente troppa e variegata l’offerta, e non è più l’epoca in cui per ascoltare una nuova uscita era necessario aspettare alla radio o ordinare il 45 o 33 giri in vinile al negoziante di fiducia. Oggi basta usare un buon motore di ricerca per ascoltare tutto e, meglio ancora, vederlo. Riusciamo ad immaginare oggi una canzone senza il video che la accompagna? L’epoca digitale non può prescindere dall’immagine e dal packaging del prodotto. E questo è uno degli specchi del momento attuale.
Conclusione? Nessuna, salvo pensare che oggi i Beatles sarebbero addirittura inosservati con il loro messaggio perché non avrebbero un pubblico di riferimento. Ma preferiamo ricordare John Lennon, senza tatuaggi, mentre canta Image e non offendere il ricordo di Jimy Hendrix ascoltando in rete Clementino o Sfera Ebbasta.
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