L’anno dell’Europa
In queste difficili settimane si sono moltiplicati violenza squadrista, assalti alle istituzioni e attacchi all’Europa dai fascistelli di Casapound e di Grillo al marziano Salvini. Dietro c’è il nazionalismo squadrista che ha causato tutte le tragedie dell’altro secolo e torna minaccioso sventolando la bandiera di una sovranità esacerbata che va contro tutte le realtà del mondo e dell’economia moderni. Il Capo dello Stato e il Capo del Governo hanno preso posizione in proposito. Colpisce invece il silenzio del Cavaliere. Ma non è questo il momento dei tatticismi e della tolleranza compiacente. In gioco sono la visione che abbiamo di noi stessi e del nostro futuro. Vogliamo stare in Europa o nel Medio Oriente? La scelta europea non è la scelta di “una” civiltà. È, come disse molti anni fa il Presidente Saragat, la scelta “della” civiltà. E una scelta di sopravvivenza. Mentre da noi e altrove c’è chi fa la fronda, fuori dell’UE, in Ucraina la folla scende in piazza nel suo nome. Tutti quelli che credono che l’Europa sia la nostra casa comune, che al di fuori di essa ripiomberemmo nel medioevo dei nazionalismi fratricidi e, per quanto riguarda in particolare l’Italia, nelle abitudini “mediterranee” delle finanze allegre, del debito fuori controllo, delle svalutazioni a ripetizione, devono reagire. È una responsabilità che incombe a tutti: governanti, leader politici, giornalisti seri, uomini di vera cultura.
Il 2014 sarà un anno importante. In primavera saranno eletti i nuovi membri del Parlamento di Strasburgo, a metà anno si dovrà rinnovare integralmente la Commissione e a fine anno scadrà il mandato del Presidente del Consiglio Europeo, van Rompuy. Le elezioni europee non devono essere un mero riflesso di quelle interne, utili solo a misurare le forze in campo. È necessario che gli europeisti, che sono ancora maggioranza, si organizzino per mandare a Strasburgo rappresentanti che nell’Europa ci credono e si propongono di farla funzionare al meglio – non di sabotarla – e capaci di farvi pesare la voce dell’Italia. Nei massimi incarichi esecutivi di Bruxelles devono andare persone impegnate, capaci di far funzionare al meglio le istituzioni comuni, di migliorarle ove occorre e di dare all’Europa la spinta che le serve.
L’Italia avrà, a questo riguardo, un ruolo importante, non solo attraverso la presidenza semestrale, o perché il Governo dovrà designare un Commissario italiano di peso, ma perché ha la possibilità e i titoli necessari per occupare una delle due presidenze in gioco. Non credo che potremo puntare alla presidenza della Commissione, perché il mandato di Romano Prodi (tra l’altro abbastanza discusso) è ancora troppo recente. Ma per la presidenza del Consiglio abbiamo buone carte. Dopo cinque anni di un belga, è venuto il turno di un meridionale. La prassi vuole che si tratti di un Primo Ministro. Noi possiamo allinearne due, noti e apprezzati in Europa e con forti basi nel Parlamento Europeo: Mario Monti e, oggi ancor di più Enrico Letta. Se il suo governo terminasse all’inizio del 2015, passare alla presidenza del Consiglio Europeo sarebbe per lui e per il nostro Paese naturale e conveniente. Draghi dimostra quanto sia utile avere in posti chiave un italiano autorevole e capace.
Chi dirigerà le sorti dell’Unione nel secondo semestre e ancor più chi la guiderà nei prossimi anni, avrà il compito fondamentale di adeguarla alle necessità di un mondo che cambia, farne un motore di sviluppo, renderla più vicina ai cittadini. E c’è un necessario lavoro di divulgazione da fare. Noi che l’Europa l’abbiamo voluta e l’amiamo, abbiamo il torto di darla illuministicamente per scontata, tanto le sue ragioni ci paiono evidenti. Ma il mondo è fatto da generazioni che non hanno conosciuto la tragedia della guerra fratricida, le sue distruzioni e i suoi orrori, i guasti dei vari protezionismi e del provincialismo campanilista, generazioni ignare della nostra Storia, dei nostri ideali, delle nostre speranze, che non sanno cosa sono le frontiere chiuse, i nazionalismi esacerbati, il razzismo, la violazione della democrazia e dei diritti umani, tutto quello che l’Europa unita ha esorcizzato. Parte del nostro torto è non aver capito che un’impresa così alta, così nobile e così complessa richiede una costante adesione popolare e questa adesione va ricercata con umiltà, senza sosta, aiutando la gente a capire i vantaggi dell’integrazione attraverso tutti i mezzi disponibili, dal cinema alla televisione, dalla stampa alle reti sociali.
Il 2014 dovrebbe essere davvero l’Anno dell’Europa, in cui i governi, le forze politiche e gli organi comunitari si impegnassero in un’opera davvero ampia di divulgazione, pari almeno a quella che ciascun partito fa in campagna elettorale dei propri meriti e dei propri programmi. Mezzi e capacità non mancano (per esempio, perché da noi la potente RAI-TV non presenta sistematicamente programmi “europei”?). I risultati potrebbero essere straordinari, se ci si affidasse a mezzi idonei e a gente competente per usarli al meglio. I cittadini hanno il diritto di capire come e perché, con il voto di tutti e di ciascuno, sono in gioco il futuro di un intero continente e il loro stesso futuro.
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