Gli apprendisti stregoni
È difficile non pensare che quello che si è innescato nel Golfo sia un gioco estremamente pericoloso, perché mette di fronte avversari che si odiano e hanno ambedue un ego monumentale da proteggere. Viene da rabbrividire pensando che le decisioni iraniane non sono nelle mani di un Governo eletto ma di un leader religioso, l’Ayatollah Khamenei, nel migliore dei casi un fanatico ossessionato dall’avversione al Grande Satana americano e interprete unico dei supposti voleri di Allah, un Dio tenebroso e vendicativo, che l’estremismo islamico rivendica abusivamente come sua proprietà esclusiva. E dall’altra parte, Trump.
Però cerchiamo di non essere cattivi: questa volta il Presidente americano ha dato prova di ragionevolezza, avendo fermato (come egli stesso ha dichiarato) tre devastati attacchi a obiettivi militari iraniani, evitando così, almeno per ora, una ulteriore escalation del conflitto. Interessante anche quella piccola porta che si è lasciata aperta dichiarando che l’abbattimento del drone americano poteva essere frutto della decisione di un “generale stupido”. E da notare quei segnali di volontà di dialogo con Teheran che ha lasciato qua e là trapelare. Cercar di capire la chiave del comportamento trumpiano non è facile, ma non è impossibile, se si ha in mente una cosa. Trump è un giocatore di poker abituato al bluff e all’aumento continuo della posta, convinto che questa sia la tattica negoziale ideale, non per schiacciare l’avversario ma per arrivare a un accordo favorevole. Evidentemente, questa tattica lo ha ben servito negli affari. Che sia altrettanto efficace in politica internazionale è dubbio, e finora né la Corea del Nord, né il Venezuela, né, ovviamente, l’Iran, hanno dato ragione ai metodi del Presidente USA. Tuttavia, pensare che il comportamento di Trump sia in funzione negoziale e che egli conosca e rispetti i limiti e le conseguenze di ogni azione o reazione, specie in un periodo ormai preelettorale nel quale nessun Presidente che si ricandidi vuol apparire spingere il Paese in un conflitto armato di gravi conseguenze, è abbastanza rassicurante.
Il rischio è che nessuna situazione può essere tenuta sempre sotto controllo. Basta un incidente magari non voluto, un errore di calcolo, per far precipitare le cose (gli esempi nella Storia non mancano) per quella perversa logica, quel meccanismo del peggio, che può innescarsi senza neppure una chiara volontà. Specie se si pensa che né a Washington né a Teheran mancano gli estremisti, in fondo incuranti del costo in vite umane e distruzione di beni pur di affermare una cieca volontà di supremazia e di vendetta. Per gli Usa basti pensare al nefasto Consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton, in questi giorni inviato a conferire con un altro falco, il Premier israeliano Netanyahu. Senza parlare dei Paesi arabi del Consiglio del Golfo, che premono per spingere gli Stati Uniti. E per l’Iran basti pensare al misto di fanatismo e di ignoranza del mondo reale che caratterizza alcuni suoi dirigenti, tanto politici, religiosi, quanto militari, capaci di scegliere la strada di nuove provocazioni e minacce.
Quanto agli europei, che pur sono parte dell’accordo sul nucleare denunciato da Trump. si trovano in una situazione estremamente scomoda. Avversi ovviamente a un conflitto armato, per quanta simpatia possano avere verso le posizioni iraniane in materia di sanzioni, alla fine non possono distanziarsi troppo dagli Stati Uniti, che restano il loro principale alleato. Possono tentare una mediazione, o meglio convincere l’Iran a non alzare i toni dello scontro, ma non spero molto che la razionalità europea in un gioco per molti versi irrazionale possa avere successo.
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