Camilleri e De Crescenzo, cosa rimarrà di loro
La scomparsa di Camilleri è un lutto per la cultura italiana, così come quella di Luciano De Crescenzo. A pochi giorni di distanza l’uno dall’altro ci hanno lasciati due grandi nomi della cultura italiana, due personaggi, prima di tutto, oltre che scrittori. Entrambi conosciuti più mediante la televisione che non i loro libri. Forse proprio gli aspetti meno significativi e meno appariscenti nelle loro pur brillanti carriere non solo di scrittori.
Probabilmente Camilleri e De Crescenzo sono lo specchio di una triste civiltà che sta vedendo scomparire il libro come mezzo di cultura, di conoscenza e di divulgazione, specialmente in Italia. Statistiche e notizie giornalistiche riportano di cali di lettori e di una crisi dell’editoria, anche se fortunatamente si trovano indicazioni diverse, come luci all’uscita di un tunnel di cui però non è possibile sapere se avrà una fine.
Camilleri ha venduto trentuno milioni di copie; cifre impressionanti. Però, se vogliamo essere severi con i numeri, ha pubblicato oltre cento volumi, il che vuol dire che sono state vendute in media circa trecentomila copie di ciascuno. Numeri decisamente impressionanti se vediamo il panorama della letteratura italiana. Ma in ogni caso numeri molto lontani da quelli di altri autori. Per rendersi conto basti pensare che il solo Codice da Vinci di Dan Brown, ha venduto ottanta milioni di copie e il Nome della Rosa, libro italiano più venduto di sempre, cinquanta milioni, che superano anche i trentacinque milioni di Pinocchio. Sempre numeri bassi rispetto ai centoquaranta milioni del Piccolo Principe, terzo libro più venduto di sempre.
Viene quindi da farsi alcune domande che, per carità, assolutamente non vogliono sminuire o mettere in dubbio il valore dei due scrittori, bensì far riflettere sulle cause di un successo che è decisamente sopravvalutato e sul quale si nutrono forti dubbi che sarebbe stato raggiunto senza l’ausilio della televisione.
Chiediamoci in quanti avrebbero comprato e letto i libri di De Crescenzo senza che fosse stato introdotto al grande pubblico dal salotto brillante, ma allo stesso tempo leggero e gradevole, di Renzo Arbore. Alzi la mano chi in libreria avrebbe scelto un testo, ancorché snello e scorrevole, di filosofia.
E allo stesso modo, senza Luca Zingaretti, in quanti si sarebbero dedicati alla lettura, oltretutto in dialetto, dei racconti di Montalbano e alle altre storie di Vigata? Quanti telespettatori hanno letto uno dei libri o, all’uscita dell’ultimo, si sono detti che avrebbero aspettato il nuovo episodio in TV.
Proviamo a pensare per un momento che cosa sarebbe accaduto se De Crescenzo e Camilleri fossero entrati nelle case degli italiani sempre tramite la TV, ma in programmi di seconda serata, dove avrebbero parlato, con la loro sempre pungente loquela, ad un pubblico più ristretto. Una élite culturale avrebbe forse addirittura snobbato i loro scritti, non ritenendoli adeguati al loro livello.
Invece entrambi hanno avuto il genio, la fortuna, l’occasione, di potersi presentare a un pubblico che non cercava troppo impegno culturale, ma potersi dedicare a qualcosa di leggero, divertente, non troppo impegnativo e, al contempo, avere l’illusione di crearsi una cultura.
È l’era di internet; l’era della lettura on-line, l’era dei messaggi scritti con una “k” al posto del “ch” e così via. Ecco che, di conseguenza, anche i libri devono in qualche modo adattarsi. Chi leggerebbe oggi la Divina Commedia o i Promessi sposi? Ammesso che esista qualcuno in grado di scriverli.
Quelli di Camilleri e De Crescenzo sono libri di immediata comprensione; acchiappano il lettore come show televisivi che inchiodano allo schermo il telespettatore. E dalla televisione tutto ha inizio. Del resto Camilleri è sempre stato uomo di TV e De Crescenzo ha avuto in questo, come traino e maestro, uno dei più importanti showman del video.
Ci mancheranno entrambi. Le salaci battute di De Crescenzo e le sue pillole di filosofia. Ci mancherà il prossimo libro di Montalbano e, in attesa di sapere come si concluderà la serie con l’ultimo libro che le cronache dicono Camilleri abbia già scritto, cercheremo di immaginare cosa potranno fare Fazio, Augello e Catarella prima di andare in pensione; chissà, magari aprire un ristorante con il loro Commissario.
Di De Crescenzo è sempre bello ricordare la frase che rivolse a Bossi per spiegare la differenza tra nord e sud: “Quando i vostri antenati erano barbari aggrappati ai rami, i miei antenati erano già froci.
Indiscussa la loro importanza, ma i loro libri, morti loro, resteranno lì, destinati ad essere dimenticati quando la televisione deciderà di metterli in seconda serata. E Montalbano resterà quello che è nell’immaginifico dei più. Il volto di un attore.
Come si misura la grandezza di un libro? Impossibile a dirsi, è un qualcosa di troppo soggettivo. Porterebbe a impossibili paragoni, ad esempio, tra un romanzo rosa di Liala e il Gabbiano Jonathan Livingston, o tra Shakespeare e Agatha Christie. Ma forse un sistema c’è. Basta chiedersi se un libro merita di essere riletto una seconda e forse una terza volta. Se si sente il bisogno di riprenderlo in mano e, magari, sottolinearne le parole per ricordarle.
Spiace e fa dolore dirlo, ma Camilleri e De Crescenzo hanno scritto libri che si leggono una volta sola; saranno ricordati Il commissario Montalbano e Bellavista: i personaggi, non le opere. Poi, è probabile vengano dimenticati anche gli autori.
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