Cronache dai Palazzi

Un disegno di legge di riforma della Giustizia penale e civile più volte rimaneggiato. Per il vicepremier leghista Matteo Salvini “non c’è tutto quello che gli italiani si aspettano. Non si interviene sulla separazione delle carriere, non ci sono sanzioni disciplinari per chi non rispetta i tempi, non si tocca il tema delle intercettazioni, si lascia totale soggettività alle Procure”. Il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio parla invece di “riforma epocale sulla Giustizia che sanziona i magistrati che perdono tempo e che riduce drasticamente i tempi dei processi civili e penali rilanciando investimenti e crescita. Mi auguro che nessuno pensi di bloccarla – ha affermato Di Maio – sarebbe un grave danno al Paese”.

I grillini non nascondono la loro insoddisfazione di fronte ai continui “no” pronunciati dal Carroccio: “È incomprensibile l’ostruzionismo della Lega sul tema della Giustizia. Abbiamo detto chiaramente di essere aperti al confronto ma da parte loro sentiamo solo dei no. Non vorremmo che dietro a questi muri ci sia la loro volontà di bloccare la modifica della prescrizione, che resta nello Spazzacorrotti”. Tutto ciò perché tempo fa fu raggiunto un accordo in base al quale la riforma della Giustizia sarebbe entrata in vigore con la riforma della prescrizione.

La riforma del ministro Bonafede (M5S) prevede che ogni processo non potrà durare più di 6 anni, in caso contrario i giudici si troverebbero di fronte ad un illecito disciplinare. All’inizio era stato proposto un limite di 9 anni ma i leghisti si erano opposti. Per il Carroccio anche il termine di 6 anni resta comunque troppo lungo e non incisivo. “Noi pensiamo che i tre gradi di giudizio si possono concludere in quattro anni”, ha dichiarato Matteo Salvini.

La norma della “Spazzacorrotti” – che vanifica la prescrizione per la sentenza di primo grado, sia in caso di condanna sia in caso di assoluzione – dovrebbe accompagnare il provvedimento che riguarda la durata dei processi. I magistrati che entrano in politica e che hanno ricoperto ruoli in Parlamento, nel governo o anche in enti locali, non potranno più vestire la toga se non per ricoprire esclusivamente il ruolo di magistrati amministrativi. I magistrati che eventualmente non sono stati eletti non potranno, inoltre, esercitare la professione all’interno di uffici appartenenti alla circoscrizione elettorale nella quale si erano candidati o nel distretto in cui ricoprivano delle funzioni nel momento in cui erano candidati. Introdotto anche il sorteggio per i candidati al Csm prima della elezione vera e propria, e dopo aver fatto parte del Consiglio superiore della magistratura non si potranno ricoprire incarichi di rilievo per almeno quattro anni.

Ed ancora, tempi più stretti per il processo civile e per fissare le udienze e sarà obbligatorio depositare documenti e atti per via telematica, mentre alla notificazione degli stessi dovrà provvedere l’avvocato attraverso la posta elettronica certificata.

Sono diversi i punti di disaccordo tra pentastellati e leghisti. La Lega propone ad esempio “la separazione delle carriere dei giudici”, ha dichiarato il Guardasigilli Bonafede puntualizzando che il Movimento Cinque Stelle non è d’accordo e, per di più, l’operazione “richiede una riforma costituzionale e soprattutto non ha nulla a che vedere con la riduzione dei tempi del processo penale”. Non c’è accordo nemmeno per quanto riguarda le regole per punire i magistrati che depositano gli atti delle inchieste in ritardo; i Cinque Stelle sospettano che la Lega voglia ostacolare l’entrata in vigore (dal 2020) delle nuove regole sulla prescrizione.

In sostanza ai battibecchi su tav, autonomia differenziata, sicurezza, flat tax e manovra si sono aggiunti quelli sulla riforma della Giustizia, per la quale il vicepremier grillino Di Maio assicura di essersi “confrontato con Conte per altre proposte di miglioramento per raggiungere l’obiettivo”. Di Maio si dichiara “apertissimo al dialogo” e intenzionato a portare avanti “una riforma ambiziosa e radicale”, solo che “le forze politiche che sostengono il Governo devono impegnarsi a fare le cose” mentre “a tratti si fa confusione tra maggioranza e opposizione”, ha scritto Di Maio sui profili social.

“La nostra richiesta, la nostra parola chiave è una sola: certezza”, ha a sua volta dichiarato la ministra leghista Bongiorno, protagonista del dibattito sulla Giustizia. Indipendentemente dalla Lega, Giulia Bongiorno ha trattato punto per punto la riforma interloquendo con il ministro grillino alla Giustizia Alfonso Bonafede, e in un’intervista al Corriere della Sera ha sottolineato che la riforma della Giustizia “non è una battaglia di un colore politico” e “non è un tema che possa essere affrontato alla leggera”, in quanto “la libertà personale è fondamentale”. In definitiva si tratta di “una battaglia di valori”.

A proposito di “certezza” – ha spiegato Bongiorno – essa “deve riguardare tutto: i tempi del processo, l’indipendenza dei magistrati, le garanzie degli imputati, infine le pene”. Aggiungendo poi un colore politico il ministro alla Pubblica amministrazione ha puntualizzato: “Per questo noi chiediamo una riforma vera, globale, che abbracci tutte le materie. Non possiamo pensare a una riforma che non raggiunga i suoi obiettivi”.

“Noi vogliamo affrontare ogni aspetto del processo, anche la questione delle misure cautelari. Troppo spesso si finisce in carcere prima del processo e non dopo la sentenza definitiva”, ha puntualizzato Giulia Bongiorno. Per quanto riguarda le intercettazioni, inoltre, “sono indispensabili. Non vogliamo né cancellarle e neanche negare il diritto di cronaca”, però, “vogliamo che si creino degli archivi riservati che chiudano una volta per tutte il mercato dell’intercettazione gossip”, ha spiegato il ministro della Pubblica amministrazione. Per ottimizzare tempi e procedure i leghisti propongono infine l’ingresso in tribunale dei manager: “giurisdizione ai giudici e l’amministrazione ai manager”, ma i pentastellati non sembrano essere d’accordo.

Nei prossimi giorni si profila un altro braccio di ferro tra M5S e Lega per quanto riguarda la fiducia al decreto Sicurezza bis, atteso tra lunedì 5 e martedì 6 agosto a Palazzo Madama. L’obiettivo della Lega sarebbe blindare il testo con la fiducia in modo da far cadere tutti gli emendamenti, molti dei quali presentati dai Cinque Stelle. Tensioni tra Lega e 5 Stelle anche per quanto riguarda la riforma sull’Autonomia regionale. Gli azionisti della maggioranza sembrano aver trovato un accordo sulle Soprintendenze ma manca una linea comune per la gestione dei fondi. “Le risorse devono essere ripartite equamente in tutta Italia”, ha puntualizzato il vicepremier Luigi Di Maio.

In programma c’è anche una “Banca per il Sud”, proposta dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ma per il Carroccio la priorità continua ad essere la flat tax. Mentre il premier Conte incontrerà le parti sociali a Palazzo Chigi lunedì 5 agosto per parlare a sindacati e imprenditori di lavoro e welfare – martedì scorso Giuseppe Conte ha presentato alle parti sociali anche le ricette del governo per rilanciare il Sud, da inserire nella manovra – Salvini ha confermato l’incontro al Viminale di martedì 6 agosto con sindacati e imprese per discutere della prossima legge di Bilancio. “Questa è una manovra importante in cui tutti dovranno avere coraggio. Sennò il coraggio lo chiediamo agli italiani”, ha affermato il vicepremier Salvini intervistato dal Corriere della Sera.

In definitiva, il confronto procede su vari tavoli separati auspicando comunque una compattezza complessiva per quanto riguarda il risultato finale, come per la scelta del nome del commissario europeo per il quale sussistono ancora diverse incognite. “Siamo disponibili a proporre e concordare il profilo di un candidato il più possibile adeguato per competenze e disponibilità a questo ruolo, nell’interesse dell’Italia e dell’Europa intera” ha spiegato il premier Conte incontrando la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a Palazzo Chigi, e puntualizzando la necessità di disporre di “un portafoglio economico di primo piano” in quanto solo un portafoglio di questo tipo risulterebbe “adeguato alle ambizioni e alle responsabilità che vuole assumersi l’Italia”.

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