Marienetta Jirkowsky e il Muro di Berlino

Probabilmente a novembre inizieranno le cerimonie e le commemorazioni per i trent’anni dall’abbattimento del muro di Berlino. Era il 9 novembre 1989 quando in una Germania Est che stava per crollare, insieme al sistema fino a quel momento retto con il pugno di ferro da Mosca, i berlinesi si riunirono. Le guardie della allora Germania Democratica, non spararono; non spararono prima sui berlinesi dell’est che attraversavano i varchi, poi su tutti coloro che iniziarono ad abbattere il muro che, dal 13 agosto 1961, divideva la città. Era stato creato per impedire la costante fuga di persone dalla zona di Berlino controllata dall’Unione Sovietica a quella sotto controllo degli Alleati; impressionante il nome datogli dai suoi costruttori (Antifaschistischer Schutzwall, Barriera di protezione antifascista), se si pensa che il traffico di persone si muoveva solo nella direzione opposta.

Quel muro è sopravvissuto per quasi trent’anni, simbolo della Guerra Fredda che divideva il mondo in due blocchi. Non bastò l’intervento dopo poco meno di due anni dalla sua costruzione di John Kennedy per farlo abbattere; la sua frase “Ich bin ein Berliner” fu il primo forte richiamo internazionale per l’abbattimento del muro a Nikita Krusciov. Passarono venticinque anni e fu la volta di Ronald Reagan a lanciare un monito all’allora Segretario del Partito Comunista Sovietico: “Mr. Gorbachev, open this gate. Mr. Gorbachev, tear down this Wall.”

Due anni prima era stata la volta di Bruce Springsteen; il boss tenne un concerto a Berlino Est e, rivolgendosi ad una folla che sembra fosse di oltre trecentomila giovani, si augurò che “un giorno tutte le barriere saranno abbattute.” Anche questo episodio contribuì a far avvertire nei giovani dell’Est una maggiore voglia di libertà.

Probabilmente la caduta del Muro, non fu volontaria da parte del Segretario della Perestroika e della Glasnost: furono l’insieme degli eventi e una coalizione che vedeva come leader lo stesso Reagan e Margaret Thatcher, con un contributo pesantissimo da parte di Giovanni Paolo Secondo, che portarono al crollo di un sistema, ormai logoro e portatore di idee anacronistiche e irreali.

Oggi possiamo celebrare il trentennale della caduta del muro, ma per farlo, più dell’evento del 9 novembre, è forse il momento di ricordare i nomi degli sconosciuti che lo hanno vissuto e lo hanno subìto. Potremmo iniziare da Ida Siekman, la prima vittima del muro che tentò di superarlo solo pochi giorni dopo l’inizio della sua costruzione. Era una donna nata all’inizio del secolo, che aveva vissuto due guerre, ma che non esitò a lanciarsi dal terzo piano della sua abitazione, che si trovava lungo la linea di confine, per raggiungere i suoi parenti ad Ovest. I piumoni che lanciò sul marciapiede non attutirono gli effetti della caduta. Era il 22 agosto 1961. Fu la prima degli oltre diecimila tedeschi dell’Est che cercarono di scavalcare il Muro. Alcune fonti dicono che oltre seicento persero la vita, uccisi dal fuoco delle Guardie di frontiera o in altro modo. Altre dicono solo 140. Avere numeri certi non è forse possibile. Quante morti sono state tenute nascoste dagli efficientissimi servizi segreti della DDR; la Stasi? Molti che non ce la fecero si suicidarono; alcune guardie che cercarono la fuga vennero uccise dai loro commilitoni.

Ma di tutte le vittime, forse quella che più colpisce la memoria è Marienetta Jirkowski, che proprio oggi avrebbe compiuto cinquantasette anni; era nata proprio nel 1962, pochissimi giorni dopo l’inizio della costruzione di quel muro dentro al quale era sempre vissuta. Le scarne informazioni di lei sono quasi un’agiografia: piccola, spirito libero, faceva volontariato e voleva vivere libera. Come molte ragazze a diciotto anni aveva una relazione osteggiata dai genitori. Una vita normale, se non fosse che la aveva vissuta rinchiusa all’interno di un muro. La notte del 22 novembre 1980, con il suo compagno e un altro amico, tentò la fuga. Venne bloccata fermata da oltre venti colpi d’arma da fuoco; sembra, fosse incinta di tre mesi. Le cronache dicono che Marienetta è stata una delle vittime più giovani del Muro; l’ultima donna, sembra. Fece in tempo a festeggiare nella sua prigione i diciotto anni. Oggi, almeno nel ricordo, festeggiamo i sui cinquantasette, ricordandola come una delle tante sconosciute vittime della voglia di libertà.

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  • Un eccellente articolo per commemorare l’evento liberatorio da un incubo che ha accompagnato, come un minaccioso memorandum, le nostre vite per un trentennio. La costruzione di quel muro maledetto fu la conferma della volontà di reificare
    le vite dei berlinesi da parte del regime sovietico, col diritto a impallinare
    chiunque osasse scavalcare il muro. Il Checkpoint Charlie funzionava a senso unico, solo per gli occidentali di Berlino Ovest che, con grandi difficoltà e ostruzionismi da parte dei militari di Berlino Est, riuscivano a ottenere un breve permesso per visitare i familiari che vivevano oltre il Muro. Il caso drammatico ed eroico ad un tempo di Marienetta – che oggi avrebbe 57 anni – non fu un caso isolato, spesso i berlinesi fuggiaschi venivano intercettati dall’efficiente Stasi, ancora durante la fase preparatoria della fuga in Occidente e assassinati o sbattuti in galera per anni, fino a fiaccare il loro ardente desiderio di libertà. Invero, Berlino Est – e tutta la Germania Orientale – fu un campo di concentramento per tutta l’interminabile durata della guerra fredda. Nel maggio 1987 a Bruxelles, durante un congresso di diritto int.le pubblico che si teneva presso l’allora Centro Studi Altiero Spinelli, due giovani studiosi tedeschi comunicarono all’uditorio scettico che di lì a poco il Muro sarebbe crollato e la Germania si sarebbe riunificata.

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