Quale rivoluzione?

Prima di tutto cerchiamo di chiarire il significato del termine e ricordiamo che rivoluzione deriva dal latino revolutio-onis, rivolgimento, ritorno. Nel parlare comune dovrebbe essere utilizzato per un cambiamento totale, uno stravolgimento che porti un cambiamento totale delle cose. Oltretutto un cambiamento che dovrebbe essere voluto, o comunque determinato da nuovi eventi e nuove circostanze.

Possiamo quindi dire che vi sono state delle rivoluzioni? Si, ma non quelle che immediatamente possono venire alla mente, a cominciare da quella francese: la presa della Bastiglia non vide l’immediata caduta del Re che, addirittura, tre giorni dopo venne ricevuto dal nuovo sindaco di Parigi che gli offrì le chiavi della città. Forse la rivoluzione messicana? Difficile sostenerlo, dopo la caduta di Porfirio Diaz seguirono dieci anni di guerra civile, ed anche la rivoluzione russa, dopo la caduta dello Zar nel febbraio 1917 ebbe il suo più importante sviluppo ad ottobre, con la presa di potere da parte dei bolscevichi di Stalin e Lenin che deposero il primo ministro Kerenskij. Sarebbe più corretto parlare di colpi di stato? Probabilmente sì, anche se potrebbe dare fastidio a chi rimane convinto, come Mao Zedong, che “la rivoluzione è un atto di violenza, l’azione implacabile di una classe che abbatte il potere di un’altra classe”.

Le rivoluzioni vere, nella storia dell’umanità, possono ridursi sostanzialmente a tre, perché sono quelle che hanno determinato un cambiamento totale, il vero e proprio rovesciamento sociale, culturale e, di conseguenza, hanno anche inciso a livello politico. E non si sono realizzate in un giorno.

La prima rivoluzione è stata quella del neolitico, quando l’umanità passò da un’esistenza basata sulla caccia e la raccolta ad uno stile di vita, e di economia, dove comparvero le prime coltivazioni e l’allevamento. La seconda rivoluzione è stata quella industriale, ma anche qui è necessario stabilire se facciamo riferimento all’introduzione delle prime macchine a vapore nella seconda metà del 700, e quindi della prima rivoluzione industriale, ovvero alla seconda, vale a dire quella che vide, circa un secolo dopo, l’introduzione sistematica dell’elettricità nei processi produttivi. Qualcuno parla addirittura di una terza rivoluzione industriale, che prende le mosse dagli anni settanta del secolo scorso e sarebbe quella che scaturì dai progressi dell’elettronica, delle comunicazioni e dell’informatica. Forse sembra più corretto parlare di rivoluzione informatica e provare a collocare il suo inizio intorno alla metà degli anni ‘90, quando si realizzò il desiderio di Bill Gates di vedere un computer in ogni casa. E se contiamo anche cellulari, navigatori, cucine fantascientifiche gestite con il Wi-Fi, tablet ed orologi ci rendiamo conto di quanti computer abbiamo in casa senza voler contare il forno a microonde di cui programmiamo il funzionamento? Potremmo anche dire che la velocità con cui evolve la tecnologia può imporre una rivoluzione tecnologica a cadenza quasi annuale.

I desiderata di molti – che, specialmente dopo gli anni ‘60, auspicavano di rivoluzioni proletarie che rovesciassero il sistema capitalistico – tali restano ed è difficile immaginare un proletariato che lasci perdere il suo smartphone per imbracciare un mitra e scendere in piazza. Anche la Cina, baluardo monolitico governato da un unico partito sembra iniziare a vacillare e non possiamo fare altro che restare in attesa delle possibili conseguenze che potrebbero portare i movimenti di Hong Kong. Saranno repressi come in Piazza Tien Anmen o potrebbero portare venti e voglia di liberà oltre Pechino? Sul punto viene da ricordare come la Rivoluzione Culturale, voluta da Mao, si trasformo in una sanguinosa repressione.

Quale rivoluzione oggi è ancora possibile? È un concetto sicuramente da rivedere, e poi vedere se potrà essere realizzato. Il problema se lo sono sicuramente posto filosofi, pensatori, politici e sociologhi, ma la risposta migliore possiamo trovarla in Georges Brassens, nome oggi forse sconosciuto a molti. Dopo averlo trovato sui motori di ricerca scoprire che è stato un cantante e poeta francese, morto troppo presto, potremmo anche realizzare che, senza di lui, non avremmo probabilmente avuto Fabrizio De Andrè e molti cantautori successivi.

Brassens riteneva che “l’unica rivoluzione possibile è cercare di migliorare sé stessi, sperando che gli altri facciano la stessa cosa. Il mondo sarà migliore allora”. Una frase forse scontata, ma che fa riflettere su come gli atti veramente rivoluzionari non siano quelli spettacolari in piazza, ma quelli piccoli che portano a cambiamenti. Forse oggi la vera rivoluzione sarebbe quella di rispettare le regole.

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