Floppy Disk docet
La domanda può sembrare a dir poco retorica, ma abbiamo mai provato veramente a chiederci se l’oggetto che abbiamo oggi in mano avrà un futuro? O ancora più banalmente fermarci a riflettere non sul se, ma sul quando la tecnologia usata per il cellulare con cui oggi navighiamo alla massima velocità in internet, sarà ormai obsoleta. Risposte all’apparenza fin troppo facili adesso, ma del tutto inutili se non riusciamo a collocarle nel momento in cui facciamo le domande.
Proviamo infatti a spostare il momento storico in cui chiedersi questi apparentemente banali quesiti a quando qualcuno si trovò in mano una delle prime macchine da scrivere o il modello “T” della Ford. La prima è un oggetto rimasto sostanzialmente invariato per quasi oltre un secolo; dal primo cembalo scrivano creato dall’italiano Giuseppe Ravizza, e brevettato nel 1868 fino agli ultimi modelli elettronici con memoria (ma la tecnica era già quella del computer), è cambiato ben poco, e generazioni di dattilografe grazie a questo strumento hanno avuto un posto di lavoro sicuro. La Ford T è stato il veicolo che ha cambiato il modo di muoversi e viaggiare; la sua storia ha quasi del miracoloso se pensiamo che, nel 1908, quando ne iniziò la produzione, il mondo si muoveva ancora con mezzi che oggi sembrano venire da altri mondi. Sintomatica in tal senso la frase di Henry Ford che, mentre stava creando la catena di montaggio e lanciando sul mercato, a prezzi popolari, la sua creazione, fronteggiava persone che gli chiedevano “cavalli più veloci”.
Oggi questi due esempi, forse dimenticati, anche perché parliamo di oggetti sconosciuti ai nativi digital, si sono moltiplicati. La velocità con cui cambiamo cellulare o computer, è sorprendente rispetto a quella con cui, solo mezzo secolo fa, si poteva cambiare un televisore o un’auto; oggetti che restavano all’interno di una famiglia non sulla base del loro ciclo commerciale, bensì su quello della loro sopravvivenza e venivano riparati finché non giungevano allo stremo delle loro forze.
Lo vediamo in ogni momento della nostra quotidianità, non ne sono immuni neppure le nostre abitudini alimentari. Se negli anni 80 la novità erano le pennette alla vodka, oggi possiamo farci portare a casa per cena, almeno nelle grandi città (per ora) un sushi o una bistecca di canguro. Se nel 1873 fare il giro del mondo in 80 giorni era una sfida su cui scommettere, oggi lo possiamo fare con assoluta certezza in uno o poco più se vogliamo fermarci per un caffè. Trasporti, comunicazione, connessione, sono solo alcuni degli aspetti che hanno cambiato il nostro modo di vivere. Se chiedessimo a un giovane dove vuole fare il viaggio di nozze probabilmente risponderebbe d’istinto Polinesia o New York. I loro genitori, primi pionieri del turismo di massa sono probabilmente stati a Ibiza o Sharm; i loro nonni, ma solo i più fortunati, a Roma o Venezia, magari in vagone letto se potevano permetterselo.
Sono dati di fatto che talvolta sfuggono, ma che dovrebbero chiamare ad una riflessione sul nostro modo di vivere e lavorare, fermo purtroppo ancora a schemi ormai arcaici, che risalgono a ben cinquanta o sessanta anni fa. E’ la storia Floppy Disk. Riusciamo ancora a ricordare quel piccolo strumento nel quale, finalmente, centinaia di professionisti riuscivano a memorizzare i documenti e portarli nelle loro valigette finalmente liberi dalla carta o addirittura da ingombranti computer portatili? Nati nella seconda metà degli anni 60, si svilupparono per il successivo ventennio, ma sono usciti definitivamente dalla produzione e Apple eliminò i supporti di lettura già nel 1998. Oggi sono inutili oggetti da tenere come ricordo del passato che non ritorna e risale a venti anni fa. Proprio come qualche negozio della catena Blockbuster. Tutti ne hanno preso atto, tranne forse qualcuno che, imperterrito, continua ad usare il vecchio computer o un nostalgico della macchina da scrivere.
Però non possiamo buttarla via, in quanto saremmo nemici dell’ambiente e non in grado di riciclare adeguatamente il prodotto, perché le istanze ambientaliste devono essere rispettate, anche a costo di triplicare costi, bloccare investimenti o, ancora, impedire di adeguarsi alla velocità cui viaggia il resto del mondo.
Ma fino a quando tutto ciò resta nella disponibilità di un singolo, è solo una scelta propria, su cui niente possiamo fare. E’ come il nostro simpatico vicino di casa che non cambia macchina perché vede che la sua Fiat 126, o forse la 500, riesce ancora a portarlo al mercato o a visitare i nipotini. Purtroppo però, a tutto ciò deve essere adeguato il sistema paese e il sistema del mercato. E qui non dobbiamo fare i conti con l’anziano vicino di casa che non è in grado di usare il bancomat e ragiona ancora in lire. Si tratta di un cambiamento di mentalità epocale che coinvolge anche e principalmente il mondo del lavoro e l’economia globale, nei quali non esistono più certezze se non quella dell’incertezza e del cambiamento. L’economia che, ancora, qualcuno continua a definire capitalista e legata alla proprietà, è mutata; siamo oggi nell’economia dell’accesso e i più oggi non vogliono comprenderlo, magari per difendere vecchie ideologie. Ma ne dobbiamo prendere atto, in primis i politici, diversamente rivivremo sulla nostra pelle la storia del Floppy Disk.
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