Spagna, verso un nuovo governo

La crisi arrivata dalla mancata indicazione di una maggioranza autonoma nelle ultime elezioni spagnole pare essersi risolta con insolita rapidità. Il Segretario Generale del partito di centro-sinistra Podemos, sin dal lunedì successivo alle elezioni, ha dato la sua disponibilità a entrare in una coalizione con il Partito Socialista, risultato primo, ma con un numero di parlamentarti insufficiente a formare una maggioranza di governo. Messi insieme, i due partiti hanno la maggioranza, in realtà piuttosto risicata, ma sufficiente, a patto che riescano ad accordarsi su un programma comune e a rispettare poi gli impegni presi, senza logoranti guerriglie intestine. Ciò apparirà più chiaro nei prossimi giorni, quando programmi e posti di governo saranno definiti (l’accordo per ora è solo di principio).

In un recente articolo, il capo di Podemos, Pablo Iglesias, ha ricordato con lucida chiarezza le sfide che dovrà affrontare il nuovo governo: innanzitutto la questione della Catalogna, riaccesa in modo violento dalle pesanti condanne inflitte dalla Giustizia spagnola ai capi indipendentisti. È ovvio che un governo a guida socialista non seguirà alla lettera la politica puramente repressiva eseguita dai Popolari di Mariano Rajoy, ma neppure il Primo Ministro socialista, Pedro Sanchez, può accettare il separatismo. La sfida consiste dunque nel trovare una soluzione politica che tenga ampiamente conto delle aspirazioni autonomiste catalane, ma preservando l’unità della Nazione e il rispetto delle regole democratiche.

Poi vi è la necessità di contenere e se possibile fare arretrare l’estrema destra di Vox, che ha quasi raddoppiato la propria rappresentanza parlamentare (45 deputati). È una destra in parte diversa da analoghi gruppi europei: nasce da una costola dei Popolari (con i quali governa in molte realtà locali), filo-NATO, non ha punte “sovraniste” o antieuropee, e non sembra alimentarsi con il problema dell’immigrazione, piuttosto con i danni prodotti dalla globalizzazione ad un’economia che, pur essendo la quarta dell’Eurozona, non è ancora del tutto competitiva. Ma il nucleo sta nella difesa dell’unità nazionale e in una certa nostalgia “franchista”. Ha certo collegamenti con i movimenti di estrema destra europei (Lega compresa), ma il pericolo che rappresenta è meno chiaro. Resta la necessità che un governo e una maggioranza progressisti la riducano a proporzioni accettabili, e Iglesias per questo invoca una politica accentuatamente sociale ma anche di sviluppo economico.

Tutto sommato, non molto differente dal problema italiano, ed è da pensare (o da sperare) che il Governo Conte sappia trattare quello che formerà Sanchez in Spagna come un buon amico e alleato.

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