Il dramma libico
Franco Venturini, un giornalista che conosce a menadito le questioni internazionali, ha scritto lunedì sul Corriere un articolo di forte allarme per quanto sta avvenendo in Libia. Ad aprile, quando le milizie di Haftar mossero dalla Cirenaica verso Tripoli, parvero a un passo dalla vittoria e il Presidente internazionalmente riconosciuto, Sarraj, vicino alla sconfitta. A quel momento, il Governo italiano, e Conte in persona, tenne un atteggiamento ambiguo e ambivalente, quasi di equidistanza, come se avessero voluto non compromettere i rapporti con il possibile vincitore. Di fatto, sostenendo Sarraj a parole, rifiutarono l’aiuto militare che egli chiedeva con urgenza. Poi la situazione si è bloccata sul terreno, grazie all’intervento delle agguerrite milizie di Misurata, che hanno fermato l’attacco di Haftar.
Ma Venturini rileva un fatto che ormai è abbastanza evidente. Nella situazione, gestita (male ma comunque gestita) dagli Occidentali, con un ruolo almeno diplomatico riconosciuto all’Italia, sono intervenuti fattori esterni di grande peso: non più solo l’Egitto in appoggio ad Haftar, come si sapeva, ma la Russia al suo fianco, mentre la Turchia ha inviato uomini e armi al lato di Sarraj. Chi pensa a un possibile scontro russo-turco però probabilmente sbaglia. Come in Siria, Putin ed Erdogan, potenzialmente avversari, hanno trovato modo di accordarsi per agire sostanzialmente insieme, ritagliandosi ciascuno la propria fetta di influenza e di controllo. Secondo Venturini – ma io sono totalmente d’accordo – lo stesso accadrà in Libia. Nell’ormai evidente distacco degli Stati Uniti di Trump, nell’impotenza manifesta dell’ONU, quando si cercherà un accordo i due veri protagonisti, ciascuno con la propria pistola sul tavolo, saranno loro, Putin ed Erdogan. E saranno loro a spartirsi influenza e controllo su una zona ricca di petrolio, essenziale per le nostre forniture energetiche e origine di migrazioni che mettono in crisi l’Europa e noi in particolare.
Venturini invita perciò il Governo italiano a uscire dalla passività e decidersi ad agire, mettendo da un lato la rivalità con la Francia, che per molto tempo ha motivato molte nostre azioni, perché il potenziale rivale è ben più pericoloso.
Agire sì, ma come? Venturini non fa vere proposte (non è il suo ruolo), limitandosi a suggerire una zona aerea di interdizione ai droni messa in opera da aerei italiani (quali?), francesi e tedeschi. Mi permetto di essere profondamente scettico. Abbiamo da sempre rinunciato a priori ad ogni operazione di tipo militare a sostegno di una diplomazia dimostratasi (salvo ai tempi che ora sembrano beati, di Berlusconi e del suo flirt con Gheddafi) in genere vana. E ce lo immaginiamo un governo con Di Maio alla Farnesina che flette i muscoli?
Mi spiace di dover fare una previsione. Vada come vada, il gioco in Libia, e soprattutto in Tripolitania, ove abbiamo i maggiori interessi petroliferi, avrà vincitori e vinti, e noi saremo tra questi ultimi, nell’indifferenza dell’amico Trump, se un soprassalto miracoloso non raddrizza la situazione. E non saranno le telefonate tra Conte e Putin (che è come dire tra Cappuccetto Rosso e il Lupo Mannaro), a salvarci.
Il fatto che, persi in buona parte i riferimenti essenziali che per decenni ci hanno guidati e sorretti, NATO ed Europa, non abbiamo né la volontà né gli strumenti per fare una politica estera seria, cioè di difesa almeno basica dei nostri interessi vitali, neppure per quella parte, in sé centrale, che gravita nel Mediterraneo.
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