Violenza sulle donne, report shock dell’Istat
“La violentata è salita lungo la stradina sterrata verso il castello e si è incautamente fermata a fare foto della piazza. Così è stata comodamente aggredita e violentata, visto il rumore che copriva l’aggressione. In poche parole, se l’è cercata”. Il commento del consigliere veneto ex-leghista Giovanni Candusso in merito alla violenza subita da una ragazza la notte di Capodanno è abominevole, ma non deve stupire più di tanto. Le parole di condanna seguite a queste aberranti parole sono una reazione che si scontra con una realtà ben diversa nel sentire comune degli italiani, e che l’Istat ha fotografato in maniera impietosa pubblicando i dati elaborati e concordi con quelli della Polizia di Stato.
Il report Istat sui ruoli di genere riporta come il 39,3% della popolazione addebiti alla donna una certa ‘condiscendenza’ a subire la violenza, affermando che se una donna ‘veramente’ non vuole un rapporto sessuale, lo può evitare. Il 23,9% pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire e il 15,1% ritiene che una donna sia in buona parte responsabile se la violenza le è imposta quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe. La moda rende sexy le donne, bellissime, sensuali, eleganti, amano festeggiare per loro e per la vista degli uomini esaltando la loro figura nella migliore delle maniere, come è giusto e nel pieno loro diritto. Nel 2017 arrivammo alla moda del naked dress, abiti che lasciavano ben poco all’immaginazione, come poi spesso si vede in molte discoteche e feste durante tutto l’anno. Vestirsi in maniera ‘sexy’ significa forse rendersi disponibili? Qualificarsi come ‘prede facili’? Nel XXI secolo verrebbe da pensare che ognuno sia libero di usare il dress code che preferisca, ma sbaglieremmo grossolanamente, pare che, soprattutto in Italia, una donna che si veste in maniera ‘appariscente’, pare dimostri di essere ‘una facile’ e giustifichi in qualche maniera una eventuale violenza subita. Persino il nostro futuro Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, sosteneva che una donna che si presenta poco vestita è “a disposizione”, ipotesi che ottenne il supporto di tantissimi sostenitori.
La prima domanda che statisticamente viene posta alle vittime di stupro? “Come eri vestita?”. Il forte preconcetto maschilista alla base della violenza sulle donne insiste anche dal punto di vista inquirente. Negli anni ’70 minigonna e bikini divennero i simboli dell’emancipazione femminile, Mary Quant e Twiggy le icone che infrangevano le barriere del sessismo maschilista, ma non in Italia. Il comune senso del pudore è duro a morire, alla fine degli anni ’80 era ancora in vigore il codice Rocco, il delitto d’onore e il matrimonio riparatore. Si ritiene che i dati ufficiali rappresentino solo la punta dell’iceberg, la paura da parte della donna di affrontare un processo e un iter legislativo complesso, la scoraggiano dallo sporgere denuncia. Si stima che su 652 casi di stupro solo 4,3 vengano denunciati (dati Istat 2015). Anche i dati sullo stalking riflettono il diverso sentire delle varie zone del nostro paese, i procedimenti sono archiviati nel 13,4% dei casi a Bolzano, percentuale che sale al 47,3% in Sicilia.
Poi ci sono forme di violenza meno clamorose dello stupro, da quelle all’interno della coppia, come il rapporto sessuale non consenziente, così frequente che si tende a non considerarlo, quasi un atto dovuto. Ma non vanno sottovalutate nemmeno forme striscianti quali l’abuso psicologico, le offese a sfondo sessuale nei confronti delle donne, recentemente ha avuto ampia eco il caso di Valeria Arzenton, owner di ZED Entertainment, che in una intricata vicenda di business, è stata attaccata con estrema violenza in quanto donna, con pesanti attacchi sul suo ruolo di genere, portando persino Renato Zero a denunciare questa situazione in apertura di un concerto.
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