Brexit, fine del sogno europeo?

La Brexit è arrivata e vengono tristemente alla mente le parole di Henry Kissinger di quando si chiedeva, quale numero di telefono dovesse fare per parlare con l’Europa. Era un monito? Un avvertimento? Una speranza? Negli anni Settanta, quando vennero pronunciate queste parole, il mondo era diverso, più grande si potrebbe dire, perché più lontano; trasporti e comunicazioni erano meno veloci. Mentre i nativi digital non riescono a immaginare un mondo senza internet, chi era già almeno adolescente in quegli anni non poteva certo immaginare a quale velocità la globalizzazione ci avrebbe messo in mano strumenti che, forse, neppure nei telefilm di Star Trek erano ipotizzati. L’economia era diversa e la crisi del petrolio forse faceva temere anche un brusco stop a industrie che uscivano dagli anni del boom economico. L’Europa, nata a livello embrionale come strumento economico, poteva essere la soluzione a molti problemi e, proprio gli inglesi, sembravano essersene resi conto alcuni anni dopo i trattati istitutivi quando chiesero, nel 1961, di unirsi ai sei originari fondatori.

Per tutti gli anni Sessanta proseguirono i tentativi di ingresso, sempre fermati dalla Francia di De Gaulle, e andati a buon fine solo nel 1973 e l’ingresso ebbe un formidabile riscontro nel probabilmente dimenticato referendum del 1975 quando il 75% dei votanti si dichiarò favorevole all’Europa.

L’Europa nacque da un’idea, e poi è stata vista come un sogno che sostituiva quello americano. Ne erano ben consapevoli i suoi padri fondatori: il tedesco Konrad Adenauer, il francese Robert Schuman e d Alcide De Gasperi. Politici di uno spessore decisamente superiore a chi cerca solo il consenso di piazze arrabbiate e si muove sugli entusiasmi e le paure del momento, senza un progetto che guardi avanti.

L’idea era quella di Ventotene, un pensiero nato nell’esilio loro imposto dal regime fascista di personaggi di cui oggi si sente la mancanza, come Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. L’Europa Unita, dopo il fallimento della Società delle Nazioni e l’affermarsi dei regimi dittatoriali, già era stata individuata come un possibile strumento per evitare eventuali futuri conflitti e come strumento di sviluppo e cooperazione economica. In passato Victor Hugo e anche Maynard Keynes si erano espressi auspicando l’istituzione di strutture sovranazionali.

Il sogno europeo è invece il titolo di un libro di Jeremy Rifkin economista e sociologo americano le cui tesi in materia di economia dell’accesso dimostrano come il capitalismo basato sulla proprietà possa essere considerato superato. Rifkin vede (o forse ormai vedeva) l’Europa unita come una novità portatrice di istanze progressive e propositive per diventare una guida ad uno sviluppo globale in una direzione non solo ambientalista, ma anche rispettosa delle istanze e delle diversità dei singoli. Un nuovo sistema che sostituisse il vecchio sogno americano, del self made man e del cowboy che cavalca da solo.

Tutto finito? L’Unione rimane, ed ha altre nazioni che bussano per entrare. Certo, rimane oggi con uno Stato membro in meno dove, forse, molti cittadini rimpiangono già questa scelta. In ogni caso la Gran Bretagna non può fare a meno di dialogare con una Istituzione che esiste. Ma la Brexit pone alcuni spunti di riflessione che possono muovere dal discorso di Nigel Farage, il più convinto anti europeista dei politici inglesi, ha ricordato come l’idea originaria dell’Europa fosse, al momento dell’ingresso del Regno Unito, un’idea più cooperazione economica che non di un nuovo Stato con unico inno, presidenti, bandiere. Ed è probabilmente questo che in molti ancora vedono e non riescono a digerire. O forse non l’hanno capito? In ogni caso l’Europa, oggi, è percepita male e, dai leader che dovrebbero promuoverla, comunicata in maniera ancora peggiore ai cittadini. E già questo spiegherebbe i risultati dei referendum con cui Francesi e Olandesi bocciarono la proposta di Costituzione Europea.

Ma Farage va oltre, quando si chiede, e dovremmo chiederci tutti, “Cosa vogliamo dall’Europa?”. E la risposta che offre dovrebbe far riflettere. Ed è verissima. Se vogliamo commercio, amicizia, collaborazione, reciprocità non abbiamo bisogno di una Commissione europea, della Corte europea di giustizia, di tutte queste istituzioni e di tutto questo potere. E’ vero. Non c’è bisogno di burocrazia per il progetto Erasmus. Era forse questo il vero spirito di Ventotene? Probabilmente sarebbe limitativo pensarlo, ma riflettere Rifkin e Kissinger, ed ora anche Farage, è indispensabile.

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