Coronanomics, lo scenario futuro
Avvalendoci dei dati presentati dal Capo Economista di Nomisma Lucio Poma in una diretta streaming e delle previsioni del CPI di Carlo Cottarelli, abbiamo cercato di ricostruire lo scenario macro-economico che ci aspetta a seguito della crisi Coronavirus.
Uno scenario non particolarmente felice, che però è iniziato già alla fine del 2019 con il rallentamento dell’economia cinese e il calo del Pil italiano già nel quarto trimestre. E’ in questo quadro che si è inserita l’emergenza Coronavirus, problemi strutturali e aspettative dei consumatori in movimento nel passaggio tra ‘epidemia’ e ‘pandemia’. E forte come non mai, l’interazione tra mercati reali e mercati finanziari.
La crisi arrivata non ha creato la recessione italiana, questa era già presente come evidenziato dallo -0,3% di Pil registrato nel quarto trimestre 2019; l’Italia era già in recessione quando è scoppiata l’epidemia. Questa ha preso corpo con la dichiarazione della Cina del 31 dicembre 2019 rispetto il rilevamento di un cluster infettivo da polmonite, e quindi l’avvio della Fase 1 della crisi da contagio. Il 9 gennaio l’OMS registra il nuovo Coronavirus tra le malattie infettive; il 20 gennaio scatta la Fase 2 in Cina con il lockdown a Wuhan. L’8 febbraio la Cina avvia la Fase 3 con la ripresa del lavoro. La Cina ha risentito fortemente della crisi, rallentando in maniera incisiva la sua economia, che vale il 16% del Pil mondiale e il 10% della domanda di petrolio.
Proprio il petrolio è un altro indicatore molto forte, il prezzo che il 6 marzo era a $ 45,5 cade a $ 35,8 l’8 marzo dopo la rottura dell’accordo Opec Plus, sprofonda fino agli odierni $ 27 dopo l’annuncio rilasciato l’11 marzo da Saudidi Aramco dell’aumento della produzione per 2,6 milioni di barili. A cosa è dovuto questo trend? Il calo della domanda era già iniziato a gennaio con la crisi della domanda cinese, quando l’osservatorio dei prezzi ha indicato la necessità di diminuire l’offerta di greggio per 1 milione di barili, la Russia si è chiamata fuori. La successiva mossa araba di andare a calare il costo delle commesse già in corso di $ 8, un avvertimento alla Russia seguito dalla mossa di Saudidi Aramco. Ad un primo esame superficiale la politica da parte dei players produttori di petrolio può apparire incomprensibile, ma l’abbassamento dei prezzi è la logica conseguenza dello scenario che si andrà ad affrontare, stock di petrolio invenduti, magazzini pieni di merce, piazzali affollati di beni senza compratori, depositi stipati di merce da piazzare. Allo scendere drastico delle quote di mercato i competitor cercano di accaparrarsi quel poco che resta, usando prezzi predatori.
Quali saranno gli effetti sull’Italia? Una praticamente certa deflazione, partendo dallo 0,3% attuale, vediamo come i consumi si stiano riducendo in maniera drastica, prezzi dell’energia in picchiata, stock di merce invenduta, reddito dei lavoratori che andrà inevitabilmente a ridursi a causa dell’aumento della disoccupazione e della CIG. Bisogna sempre rammentare come la componente umana, psicologica, sia sempre fondamentale in economia, quella che viene chiamata la “propensione alla spesa”, in presenza di deflazione e aspettative di minor reddito se non addirittura timore di perdere il lavoro, cose già viste post 2009, i consumatori tendono a spostare le spese in avanti nel tempo, alimentando la spirale deflattiva.
Massima attenzione va posta a quello che è considerato l’indicatore principe delle imprese manifatturiere, la domanda, e quindi il prezzo del rame, da gennaio ha iniziato a discendere contemporaneamente al rallentamento dell’economia cinese. Con la crisi Coronavirus si è assistito a un vero e proprio crollo, passando dai $ 6.500 t. ai $ 4.500 attuali; nel mentre l’oro, classico bene rifugio, è passato da $ 1.550 per oncia a $ 1.650, segnando un +6%, il maggiore incremento degli ultimi 11 anni. Quindi siamo di fronte a uno scenario che vede deflazione e aspettative future in calo, ma per esplicitare in numeri l’incidenza della crisi attuale riportiamo quello che il dott. Poma chiama “Il giorno dopo”, il calo della borsa valori dopo lo scatenarsi di un evento drammatico. Dopo le Torri Gemelle -7,52%; crack Lehman Brothers -8,24%; post Brexit -12,48%; crisi petrolio e Coronavirus -16,92%.
Ma si può prevedere cosa succederà nello scenario macro-economico a causa della pandemia? Studi su questo sono già stati fatti basandosi su esperienze passate, avvalendoci dei dati assemblati dall’Osservatorio CPI della Cattolica di Milano, diretto dal dott. Cottarelli, vediamo i primi immediati effetti del contagio e del lockdown conseguente. Riduzione della forza lavoro conseguente a decessi, malattie, necessità di assentarsi per accudire i propri cari. Chiusura delle aziende e quindi crollo della produzione, oltre che del settore dei servizi, dalle scuole alle mense, Randstad ha comunicato 500.000 disoccupati risultanti da 300.000 contratti a termine non rinnovati al 3 aprile e 200.000 di sostituzione (ex-interinali). Desertificazione delle attività nel settore della ristorazione e turistico, compresi vettori, agenzie, tutto il comparto dell’indotto. Crollo del commercio internazionale come sopra ampiamente descritto.
I risultati prevedibili rispetto l’economia sono diversi a seconda che si tratti di un virus molto letale, ma poco contagioso, in questo ci si limita a un calo medio di -1%. Nell’eventualità di un virus poco letale, ma molto contagioso, come pare essere la situazione attuale, l’incidenza rispetto il pil si colloca prevedibilmente tra un -4,5% e un -6,5% il primo anno. Gli effetti pandemici tendono a scemare il secondo anno per essere assorbiti nel terzo; con un aggravio più forte per i paesi emergenti a basso reddito che hanno meno risorse combattere il dilagare dell’infezione e sono meno appetibili per gli investitori che tenderanno a spostare le risorse verso economie più solide. Si registra una maggiore incidenza anche per i paesi che sono maggiormente esposti sul versante del commercio estero, che viene pesantemente colpito da questa situazione.
Concludendo, è doveroso dire che molto dipenderà dagli strumenti messi in atto dalle istituzioni a sostegno dell’economia, e che oggi non sono ancora ben definiti. Sicuramente paesi come l’Italia che da sempre sono gravati di un debito pubblico più che doppio rispetto la Germania sono in una situazione delicata. I mezzi a disposizione appaiono evidentemente più risicati e la governance economica e politica di questi decenni non depone a favore, più che affidarsi alla speranza, sarà necessario un rigoroso controllo che i mezzi dispiegato non distribuiscano solo ‘pesci’, ma anche, e soprattutto, ‘canne da pesca’, per fare ripartire l’economia del nostro paese.
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