L’economia nel mondo alle prese con Covid 19
La crisi Coronavirus-Covid 19 oltre l’impatto sanitario ha comportato una crisi economica globale superiore anche a quella del 2008-2009 conseguente all’affaire Lehman Brothers. Avvalendoci dei dati estratti dall’Osservatorio CPI dell’Università Cattolica di Milano diretto da Carlo Cottarelli, analizziamo gli interventi messi in atto a livello mondiale per contrastare la crisi.
Partendo dai dati FMI relativi ai 32 paesi più avanzati nel mondo e aggiornati allo scorso 22 maggio, vediamo come le misure adottate abbiano impattato i deficit pubblici del 2020 per un importo superiore ai 3.000 miliardi di euro. In media, queste misure ammontano al 4,7 per cento del Pil, di cui solo una piccola frazione è costituita da aumenti di spesa per la sanità. Mentre gli USA hanno approvato misure discrezionali espansive pari a oltre il 10 per cento del Pil, la media per i paesi dell’UE si attesta al 3,7 per cento del Pil. Gli interventi con impatto diretto sul deficit includono anche stanziamenti per garantire i prestiti al settore privato; si ricorda che questi stanziamenti assicurano garanzie sui prestiti pari a un multiplo dei fondi stanziati (riguardo il fondo SURE ad esempio, la Commissione chiede garanzie agli stati membri pari al 25%). Per comparazione vediamo che riguardo i su richiamati parametri deficit/spesa sanitaria, la Nuova Zelanda chiama 7,7% e 0,2%; Corea del Sud 1,5% e 0,2%; Australia 9,9% e 0,1%; Stati Uniti 10,4% e 1,2%. Per quanto riguarda l’Italia le misure adottate avranno un impatto sul deficit pari al 4,2%, di cui però solo lo 0,4% a carico del comparto sanitario.
Riguardo il nostro paese, l’impatto sui conti pubblici delle misure anti Covid19 comporterà un peggioramento a livello delle guerre mondiali, il governo prevede che quest’anno il rapporto debito pubblico/Pil aumenti dal 134,8 per cento del 2019 al 155,7 per cento. Si tratta del livello maggiore dall’Unità d’Italia, superato solo nel 1920 e 1921 (rispettivamente 158,8 e 158,4 per cento. Per quanto attiene il rapporto tra deficit e Pil. Il governo prevede che nel 2020 il rapporto deficit/Pil salga al 10,4 per cento; durante la prima guerra mondiale il deficit fu in media del 22 per cento annuo (1914-1918); durante la seconda fu del 23 per cento (1940-1945) con un picco del 33 per cento; infine, nel periodo dal 1975 al 1995 fu in media del 9,5 per cento. Ma a differenza di questi ultimi casi, attualmente non possiamo contare sull’inflazione che caratterizzò quel periodo alleggerendo il gravame debitorio, ma anzi lo scenario economico globale è aggravato da una deflazione particolarmente forte. Tempi bui anche sul fronte della crescita economica, Secondo Banca d’Italia, quest’anno la caduta del Pil potrebbe essere superiore al -8 per cento previsto dal governo: -9 per cento nello scenario di base, -13 per cento in quello più negativo. Escludendo i periodi delle guerre mondiali con il totale azzeramento della capacità produttiva, per trovare numeri di questa portata dobbiamo risalire al 1867, alla Terza Guerra d’Indipendenza, la situazione finanziaria italiana era così grave, che venne istituita la famosa “tassa sul macinato”.
Riassumendo è bene tenere presente che gli shock sui conti pubblici sono asimmetrici, molto più gravi e profondi quelli negativi, tendenzialmente progressivi quelli positivi. Il senso è che nei periodi positivi sarebbe necessario provvedere alla graduale riduzione del debito pubblico per prepararsi a un eventuale shock negativo, ma il caso italiano è tipico di una politica economica tesa solo alla spesa corrente per raccogliere consenso elettorale.
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