I negoziati della Brexit
I negoziati tra la Commissione dell’Unione Europea e il Governo britannico per la conclusione dell’accordo che dovrebbe regolare i rapporti tra Europa e UK dopo il 31 dicembre, data fissata per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, avrebbero dovuto concludersi il 15 ottobre, in tempo cioè per essere approvati dal Consiglio Europeo e poi dai Parlamenti di Londra e di Strasburgo.
I negoziati si sono però impantanati su due o tre questioni di difficile soluzione e poi è venuta l’improvvida decisione di Boris Johnson di inviare al Parlamento un progetto di legge che permette di derogare a una clausola centrale, riguardante l’Irlanda, dell’accordo di carattere generale firmato dallo stesso Johnson a dicembre scorso, decisione che ha sollevato non poche resistenze (anche in Inghilterra) perché contraria alla legge internazionale e indice di scarsa buona fede da parte britannica.
Tuttavia, i negoziati non si sono mai del tutto interrotti. Ambedue le parti, al fondo, sanno che l’uscita britannica senza un accordo provocherebbe seri danni, soprattutto alla Gran Bretagna, ma anche a vari Paesi europei, introducendo distorsioni nel commercio tra le due parti.
La Germania è stata la più decisa nel chiedere uno sforzo negoziale (la Francia la più restia). Quale sia la posizione italiana, non è dato saperlo. Ci sono questioni internazionali, pur di rilevante importanza, nelle quali il Governo italiano sembra (speriamo sia solo apparenza) disinteressato e assente. Ora, il 15 ottobre essendo ormai una meta impossibile da rispettare, Boris Johnson e la Presidente della Commissione, Ursula van der Leyen, hanno concordato di prolungare i negoziati di un altro mese. Potrebbe essere un buon segno, in quanto indice della volontà di arrivare a un accordo. Se così fosse, e un accordo fosse raggiunto per il 15 novembre, i tempi per la sua approvazione sarebbero stretti ma non impraticabili e sarebbe finalmente messa la parola “the end” a una vicenda nata e condotta male in Gran Bretagna, sgradevole per gli altri e, alle volte, persino farsesca.
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