La battaglia per la Corte Suprema

In mezzo a una turbolenta campagna elettorale, una battaglia apparentemente secondaria ma non certo marginale si sta combattendo negli Stati Uniti tra Repubblicani e Democratici, per la nomina di un nuovo giudice della Corte Suprema. Perché è tanto importante da determinare l’attenzione quasi esclusiva della grande stampa? Perché la Corte Suprema ha funzioni che vanno in realtà molto al di là di semplici funzioni giudiziarie, sia pure di alto livello. È alla Corte, infatti,  che molte volte spetta pronunziarsi sulla costituzionalità delle leggi varate dal Congresso, ma – di fatto – tocca riempire i molti vuoti interpretativi lasciati dalla legislazione, specie nei contrasti frequenti tra quella nazionale e quelle dei vari Stati, assumendo un ruolo praticamente legislativo. Per fare un solo esempio, è la sentenza nella causa Wade vs Roe della Corte che ha introdotto la liceità dell’aborto.

L’America è profondamente divisa tra progressisti e conservatori, e la divisione si riflette nella composizione della Corte, giacché i giudici sono designati dal Presidente in carica, che forzatamente appartiene a una delle due correnti che si disputano l’animo e il voto dei cittadini USA. Questo spiega che il Presidente Trump, portavoce dei conservatori e dell’estrema destra, ha scelto per il posto la signora Amy Coney Barret, ultranota per la sua militanza in organizzazioni massimaliste del cattolicesimo carismatico, come “People for Praise”, e per la costante applicazione da parte sua (nel suo passato di giudice di appello) dei principi di questa organizzazione in materia di diritto alla vita, obiezione ai matrimoni misti, ma anche favorevoli al diritto di portare armi, etc.; tutte le cause care alla destra più fanatica. Data la composizione attuale della Corte, il voto della signora Barret potrebbe essere decisivo per uno spostamento a destra della giurisprudenza e per questo tutto il mondo liberale e progressista sta combattendo in questi giorni una disperata battaglia per evitare la conferma della nomina da parte del Senato, a maggioranza repubblicana.

Contro la scelta di Trump, in effetti, le obiezioni esistono e sono forti: la prima è che è del tutto inusuale che un Presidente scelga un candidato a giudice a poche settimane da una elezione in cui appare tra l’altro svantaggiato. In una situazione simile, nel febbraio 2016 (ben più lontani dalle presidenziali) i Repubblicani bloccarono la nomina di un giudice da parte di Obama (ma, si sa, non è proprio la coerenza a guidare la politica). Ed è inusuale che venga scelta una persona che ha militato apertamente in gruppi estremisti (anche se ora la cosa viene minimizzata). Soprattutto, la nomina della Barret potrebbe portare alla cancellazione della “Obamacare”, la legge sanitaria che Trump ha invano cercato di far saltare, giacché contro la legge pende un ricorso alla Corte. E non va dimenticato che la Corte potrebbe essere chiamata a decidere in caso di un’elezione contestata (cosa che Trump continua a minacciare).

I sondaggi di opinione pubblica indicano che in maggioranza la gente pensa che la scelta di un nuovo giudice debba attendere l’elezione del Presidente, ma questo importa poco a Trump o alla destra radicale e pseudo religiosa. In questi giorni, la maggioranza repubblicana nella Commissione di conferma della nomina si è assottigliata, per la defezione di un senatore e il virus che ne ha colpiti altri due ma, sia pure di stretta misura, esiste ancora. Per cui è molto probabile che si consumerà nelle prossime settimane una scandalosa violazione della correttezza istituzionale e, in definitiva, della democrazia. Di fronte alla quale, tutto quello che possono fare i Democratici ora è prospettare la possibilità che, se conquistassero Presidenza e maggioranza nei due rami del Congresso, potrebbero aumentare il numero dei membri della Corte, in modo da riequilibrare il peso decisivo che con la Barret assumerebbero gli ultraconservatori.

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