L’uccisione di uno scienziato iraniano
Venerdì scorso, uno scienziato iraniano, il professor Mohsen Fakhrizadeh, è stato ucciso in una cittadina a nord di Teheran in un attacco condotto da quattro o cinque uomini armati di mitragliette e di esplosivi. Lo scienziato era da decenni considerato la mente direttiva del programma nucleare del suo Paese, ed era per questo da tempo l’obiettivo numero 1 del servizio segreto israeliano, il temibile ed efficacissimo Mossad (maestro nel condurre operazioni fuori del Paese e anche nei Paesi ostili) e che aveva già eliminato un certo numero di altri scienziati iraniani e riuscito a sottrarre gli archivi del programma nucleare. Perciò Teheran ha subito accusato Israele dell’attentato, giurando vendetta (allo stesso tempo ripetendo la favola secondo cui il programma è puramente pacifico e comunque non sarà frenato dalla morte di Fakhrizadeh).
Non ha accusato finora gli Stati Uniti, ma penso non tarderà a farlo, se si pensa all’assassinio di un generale della Milizia rivoluzionaria e di un alto esponente di Al Qaeda in piena Teheran, ambedue di fatto rivendicati da Washington, e sapendo che a metà mese Trump aveva pensato di attaccare i siti nucleari iraniani, essendone poi dissuaso dai suoi principali consiglieri. La stretta alleanza che unisce l’Amministrazione Trump al Premier israeliano Netanyahu è del resto nota, tanto che Israele (assieme alla Russia) è ormai uno dei rarissimi Paesi a non aver riconosciuto e felicitato Biden per la sua elezione, memore delle relazioni quanto meno fredde avute al tempo di Obama.
L’evento impone alcune considerazioni. Dal punto di vista israeliano, l’attentato, pur contrario alle norme internazionali che sia, non è incomprensibile. Israele ha un interesse diretto e vitale a evitare che Teheran riesca a dotarsi di missili a testata nucleare e ha più volte pensato di compiere attacchi aerei ai siti iraniani, e si sa che Netaniahu è stato e resta fieramente contrario all’accordo sul nucleare concluso da USA, ONU, Unione Europea e altre potenze mondiali con l’Iran, da cui poi Trump nel 2018 ha fatto uscire gli Stati Uniti, ritenendolo fraudolento. Non penso che Tel Aviv creda veramente che con la morte di uno scienziato, per quanto uomo-chiave, il programma si fermi, però certo sarà ritardato. Ed è logico che il Premier voglia approfittare delle ultime settimane del suo amico Trump alla Casa Bianca per evitare interferenze americane.
Non so sia insignificante il fatto che nei giorni precedenti Netanyahu aveva avuto, con la mediazione della Casa Bianca, un incontro, segreto ma mai smentito dal lato israeliano, con il principe ereditario saudita, vero artefice della politica di quel Paese. L’Arabia Saudita è un altro soggetto che ha tutto da perdere da una capacità nucleare del rivale iraniano. Ha dato il suo accordo e magari un mano all’operazione del Mossad? Possibile.
Altro fatto significativo è che il Segretario di Stato americano, Pompeo, aveva visitato Israele nelle settimane scorse (tra l’altro visitando ostentatamente nuovi insediamenti israeliani nei Territori Occupati, in provocazione aperta ai Palestinesi). È venuto allora il via libera americano all’operazione del Mossad? Possibile e forse probabile. Ma una forma di accordo della Casa Bianca non può non esserci stato.
Trump continua quindi a compiere importanti e potenzialmente gravi atti di politica estera quando il suo mandato sta per finire. Perché lo fa? Per seminare caos e rendere molto difficile alla futura Amministrazione disfare le sue spesso sconsiderate iniziative. Ciò di per sé non fa che confermare il suo assoluto disprezzo, già ampiamente dimostrato, per la correttezza istituzionale e per le regole basiche della democrazia.
Che succederà ora? Il Premier israeliano deve avere pesato il pro e il contro dell’operazione e misurato le possibili conseguenze. Mi auguro veramente che Israele (e gli Stati Uniti) sia pronto a parare alle eventuali rappresaglie iraniane, che potrebbero anche dirigersi agli interessi americani od occidentali nella Regione. Staremo a vedere, abituati ormai (e persino un po’ vaccinati) all’alternarsi di crisi permanenti e subitanee escalation in una Regione senza pace.
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