Paolo Rossi
Era il 1982, ero Ambasciatore in un grande Paese africano. La sera della finale Italia-Brasile eravamo riuniti, mia moglie ed io, in casa di amici italiani, con un folto gruppo di connazionali che lavoravano per grandi imprese come AGIP e Impresit. L’entusiasmo per una vittoria italiana, grande in Italia, è ancora maggiore tra chi vive e lavora all’estero. Quella sera, Paolo Rossi ci regalò una grande emozione e molta felicità. Ricorderò sempre il volto pulito e aperto del giovane giocatore. Ricorderò sempre Pertini saltando di gioia nella tribuna d’onore, accanto al Re di Spagna, con cui si abbracciavano. Per molto tempo ancora, dovunque viaggiassi, al passaggio della dogana c’era sempre qualcuno che, vedendo il mio passaporto italiano, mi diceva sorridendo: “Ah, Italia, Paolo Rossi!”
Per quanto ne sappia, ritiratosi dallo sport, Paolo Rossi aveva condotto una vita normale, senza chiasso, a differenza di un altro astro del football scomparso di recente, Diego Armando Maradona. L’argentino non era mai riuscito a uscire di scena, la sua vita è stata un seguito di errori e disastri, dalla cocaina alla tempestosa vita familiare, con divorzi e risse furibonde. Aveva venduto fino all’ultimo la sua popolarità per far soldi, mostrando anche un ingenuo servilismo rispetto a certi potenti, come Fidel Castro. Come era prevedibile, dopo la sua morte, tra le sue ex mogli e i suoi numerosi figli si è scatenata la guerra per dividersi la ragguardevole eredità. Mi rattrista di doverlo dire, ma è così.
Penso che chi raggiunge la grandezza e la fama nello sport (più ancora che in altri campi) debba dare anche un esempio di rettitudine umana. Paolo Rossi, dopo averci “fatto sognare” (come ha detto Matteo Renzi), ci ha lasciato anche questo esempio e anche di questo dobbiamo essergli grati. La modestia non è poi una merce molto corrente nel nostro amato Paese.
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