Economia e mercato del lavoro 2021
La seconda ondata della pandemia, che ha colto nettamente impreparata la macchina governativa che non ha approfittato della pausa estiva per attrezzare trasporti e sistema, trovandosi a dover chiudere scuole e attività nuovamente, ha stroncato una ripresa che aveva messo assieme numeri e speranze superiori alle attese. Rispetto le previsioni di +11,4% per il 3° trimestre 2020 e +1,4% per il 4° trimestre, si è invece avuto un ottimo +16,1% nel 3°, ma -3,4% nel 4°. Anche gli altri indicatori, come quello sulla mobilità, hanno seguito lo stesso andamento. Le misure restrittive introdotte al momento hanno tarpato le ali alla ricrescita e le prospettive per il 2021 sono state riviste prevedendo una risalita lenta e difficoltosa. I provvedimenti varati nel 2020 (Cura Italia, Liquidità, Rilancio, Agosto, Ristori) hanno comportato un aumento in termini di indebitamento netto per 100 miliardi. Gli interventi previsti per il 2021 vedono stimoli pari alla metà di quelli stanziati per l’anno corrente.
I sentiments degli stakeholders nel mercato produttivo italiano vedono un profondo calo sia del fatturato che degli investimenti, e venendo da un lungo periodo caratterizzato da pochi investimenti, questo ha aggravato la portata dell’emergenza covid19. Se le imprese che hanno chiuso con un risultato d’esercizio negativo nel 2019 sono state l’11,1%, nel 2020 saranno il 28,8%. Nel campo delle costruzioni si passa dal 9,7% del 2019 al 19,6% in questo 2020. Di positivo c’è la decisione con cui è stata affrontata l’emergenza a livello europeo, incrementando fortemente, al contrario delle crisi passate, il credito alle imprese, soddisfacendo così il loro bisogno di liquidità. Questo non ha risolto i problemi causati alle imprese italiane dalla crisi covid19, aumentando il numero di quelle con deficit patrimoniale e il ricorso alla leva finanziaria. Si calcola oltre un punto percentuale in più di possibilità di fallimento, portando la quota dei debiti finanziari rischiosi dal 13% al 23%. Altrettanto importanti si sono dimostrati gli interventi sulle moratorie, a fronte di 2,7 milioni di richieste per 301 miliardi, sono stati soddisfatti 195 miliardi per le società non finanziarie e 96 miliardi per le famiglie. L’altro pilastro a sostegno, sono state le garanzie, 92 miliardi destinati alle PMI per 1.180.000 operazioni contro le 70.000 del 2019; a questi si sono aggiunti 17 miliardi in garanzie SACE. Percentualmente ne hanno usufruito manifattura e commercio, e oltre la metà sono andati al nord. I contributi a fondo perduto hanno ammontato a oltre 6 miliardi a fronte di 2 milioni di domande, mentre i decreti Ristoro ne hanno aggiunti circa altri 6 aggiuntivi per le imprese.
Rispetto la crisi del lavoro, l’Italia è l’unica che ha adottato un blocco dei licenziamenti per legge, mentre gli altri paesi europei hanno perseguito l’obiettivo seguendo metodologie diverse. Il risultato è stato di avere tutelato la maggior parte di posti di lavoro fisso, ma pesantissime sono state le conseguenze sul tempo indeterminato (-388.000 unità per il -12,8%), oltre che sugli autonomi. A livello di classi di età, la crisi ha colpito con impatto molto forte gli under 34 e sul lavoro femminile. I 388.000 posti di lavoro persi sono stati appannaggio del settore maschile per 155.000 unità, il resto è da addebitare alla classe femminile. Aggiungiamo che i provvedimenti restrittivi hanno colpito meno le imprese agricole, che hanno ampi spazi aperti, ma hanno inciso più fortemente sui piccoli comuni, che sono caratterizzati da negozi piccoli al dettaglio, e sulle piccole imprese. E’ interessante notare come i provvedimenti di tutela messi in atto abbiano salvato i posti di lavoro, ma portato l’Italia al primo posto nella perdita di ore lavoro assieme a Grecia, Irlanda e Cipro. Nel periodo agosto-dicembre 2019 sono stati fatti 224.000 licenziamenti economici, in proporzione possiamo presumere che a fronte di una riduzione del 50-60% rispetto il 2019, arriveremo con un blocco di 120.000 licenziamenti mancati, portando qui il blocco all’interno del mercato del lavoro a 200-250.000 unità.
Le criticità sono varie, il continuo stop-and-go di aperture e chiusure blocca il mercato, il turismo con tutto il suo indotto è azzerato e se non cambia il clima di fiducia facendo ripartire la domanda interna, difficilmente si potrà uscire dalla situazione di crisi. I recovery fund dovranno indirizzarsi in particolare per la parte più carente del tessuto italiano, l’innovazione. Dalla manifattura al capitale umano.
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