Il discorso di Draghi

Chi si aspettava da Mario Draghi un discorso di presentazione freddamente tecnico (come anticipato in alcuni quotidiani) è stato deluso. Pur evitando frasi strappa applausi (non è il suo genere), il Premier ha saputo introdurre anche toni emotivi ed empatici. La sua non è passione ideologica o politica, ma semplicemente civile, un sentimento non molto comune. La sua frase finale sull’amore per l’Italia non mi è apparsa parte della consueta retorica, ma una semplice affermazione, senza punti esclamativi, in linea del resto con tutto il discorso. Ha saputo anche mostrare un vero rispetto per le istituzioni democratiche, a cominciare dal Parlamento, e ha avuto l’eleganza di ringraziare Conte e riconoscere l’opera svolta dal suo governo.

Quanto  al programma, i punti essenziali sono quelli che ci si attendeva. Però su ciascuno di essi (vaccinazione, ripresa economica, digitalizzazione, ambiente, scuola, modernizzazione della burocrazia e della giustizia civile, occupazione, Mezzogiorno, parità di genere, fisco…), gli obiettivi da perseguire nell’immediato sono sempre stati accompagnati da una’indicazione di percorso di largo respiro, che va al di là dell’orizzonte temporale del suo governo. Quasi a indicare una “road map” per i futuri esecutivi.

Non starò qui ad analizzare tecnicamente i vari punti programmatici, ma vi sono alcune linee di forza che mi paiono da rilevare. La prima ha inquadrato il programma sin dalle prime parole: il radicamento in Europa e nell’Alleanza Atlantica. Forse nessun Presidente del Consiglio dopo Degasperi l’aveva detto con tanta convinzione e tanta chiarezza; il linguaggio politico avendo via via acquistato tinte sempre più sfumate e “morotee”. Nessuno aveva saputo dire che non vi è sovranità nella solitudine, nessuno di recente aveva detto con tanta forza che l’euro è irreversibile (rispondendo così subito a un battuta piuttosto ambigua di Salvini). La seconda linea di forza sta nella quasi orgogliosa affermazione, in risposta a chi si chiede che colore o caratteristiche abbia il nuovo governo, che esso ha come segno, semplicemente, di governare il Paese, rivendicando così alla politica il suo significato più e alto e più nobile, di servizio della polis. Per chi conosce Draghi e per chi sa come funzionano mente e spirito di un vero servitore dello Stato, abituato a vedere l’interesse permanente del Paese al di là delle passioni di parte e delle situazioni politiche contingenti, non sono parole vane.

Naturalmente, un discorso è solo un discorso, anche se importante. Come ha scritto, giustamente, Paolo Mieli, Draghi e il suo governo saranno giudicati sui fatti. Fatti che non dipenderanno solo dal Premier o dai suoi migliori Ministri ma, come ha ricordato lui stesso, anche dalla cooperazione delle forze politiche e del Parlamento, sempre, s’intende, con i limiti e condizionamenti spesso imposti da circostanze esterne imprevedibili. Piaccia o no ad alcuni, è interesse di tutti, proprio di tutti, che i fatti siano, almeno in parte, quelli che speriamo.

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